Sacralità, racconto cinematografico, cultura in un intreccio straordinario tra passato e futuro. Ecco la ricetta per spiegare Matera, palcoscenico naturale di alcuni tra i film più densi di spiritualità degli ultimi decenni.

L’iniziativa Matera, materia del Sacro, organizzata dall’Università Cattolica in collaborazione la Fondazione Ente dello Spettacolo in occasione di Milano Movie Week, raccoglie suggestioni che arrivano da lontano e rientra tra le attività realizzate nell’ambito del progetto Università Cattolica incontra Matera 2019.

L'idea è nata più di un anno fa in modo spontaneo tra professori e ricercatori di diverse facoltà dell’Ateneo, legati per ragioni di origine, di studio e, a volte, solo per passione alla Basilicata.

L’obiettivo? Non solo quello di raccontare il capoluogo lucano come testimone del passato, ma di ribadire alcuni punti fermi della materia Matera come ambito privilegiato per progettare il futuro. Così, accanto a progetti di alternanza scuola lavoro, eventi artistici e culturali, rappresentazioni teatrali e presentazioni di libri, ha trovato posto anche l’indagine di una città che ha costruito cultura come teatro di grandi eventi filmici.

Riparlare del Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini 55 anni dopo, nella prospettiva del ruolo avuto da Matera come sfondo di un’opera così particolare nella sua dirompente originalità, ha offerto martedì sera l'opportunità, prima della proiezione, di riflettere sulla genesi del film ma anche di ricordare, come ha sottolineato il rettore della Cattolica, Franco Anelli, che il capoluogo lucano viene scelto da Pasolini perché luogo in qualche modo simile a Gerusalemme ma anche perché “è materia primitiva, roccia pura, luogo prossimo alla creazione".

Massimo Scaglioni, docente di Storia dei Media all’Università Cattolica, ha inquadrato storicamente il film, spiegando i motivi che hanno indotto Pasolini “a scegliere il Sud Italia e non la Palestina".

Non certo l'unico motivo di interesse di un’opera che segna profondamente il percorso artistico di un regista discusso e geniale. “Quello di Pasolini – ha sottolineato ancora Scaglioni - è uno stile cinematografico visivo che deriva dall'arte italiana, richiama l'immaginario del Rinascimento, da Piero della Francesca a Masaccio”. Quando gli chiedono perché abbia scelto un attore non professionista per interpretare Gesù – come del resto la maggior parte dei protagonisti del film - la risposta si inquadra ancora una volta nelle categorie della storia dell'arte: “Enrique Irazoqui mi ricorda il volto di un Gesù dipinto da El Greco”.

Sulla sacralità del film di Pasolini la riflessione di monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo. Un profilo complesso e divisivo che, ha spiegato, non a caso fa litigare anche la critica cattolica, fa discutere, ma crea anche consensi sorprendenti per l'epoca. E se L’Osservatore Romano è quasi costretto a riconoscere – Pasolini è marxista e ateo dichiarato - che l'opera è “ricostruzione storica fedele ma rimane lontana dallo spirito del Vangelo", L'Unità non può che ammettere che si tratta di un bel film. Certo, la problematicità dell'opera, a oltre mezzo secolo di distanza, conserva tutti i suoi interrogativi. “Quella di Pasolini - ha proseguito monsignor Milani - è una sacralità che s'innesta direttamente nella storia. È qualcosa che capita nella realtà ma prima ancora nella vita del regista”. La sua è una fedeltà al testo, ma per analogia. E per analogia viene scelta Matera, “dove c'è povertà e dove c'è gente vera”. Riflette sul senso della morte come “momento veritativo dell'esistenza".  Il fatto di riconoscere che Gesù, figlio di Dio, muore in croce lo interroga al di là della fede a tal punto da decidere, durante la lavorazione del film, di non far concludere l'opera con il sepolcro – ha fatto notare il presidente della Fondazione Ente dello spettacolo - ma di proseguire con il mistero della Resurrezione.

Ricca di suggestioni e di ricordi personali la testimonianza di Maurizio Tedesco, che di Pasolini fu, da giovanissimo, aiuto montatore: “Quando viene accompagnato a Matera per la prima volta e sale sulla sommità del colle che poi sarebbe diventato il Golgota, si mette a piangere. Aveva trovato la sua Palestina”. Tedesco, oggi produttore affermato, ha ribadito più volte la genitalità delle soluzioni trovate da Pasolini in un film che ha puntato tutto sulla poesia, non certo sugli effetti speciali. “È costato circa 47 milioni di lire, più o meno 600 mila euro di oggi. A dimostrazione che non sono obbligatorie grandi cifre per fare grandi film. Quello che conta sono le buone idee, ieri come oggi".

Commovente nella sua spontaneità il ricordo di Margherita Caruso, all'epoca una ragazzina che Pasolini individua per interpretare la Madonna da giovane. Un caso? No, nulla nella preparazione dei suoi film era casuale. Come tutt'altro che improvvisata era la sua pazienza, la sua dedizione. “Mentre si girava, non si stancata di incitare, di spiegare cosa dovevi fare, fino all'esasperazione”. Frutto anche – ha fatto osservare Margherita Caruso – di quell'energia potente che sentiva emanare dal Vangelo di Matteo, tanto che considerava uno “scherzo del diavolo" averlo letto per caso, grazie a un frate che glielo lasciò sul comodino durante un soggiorno ad Assisi”. Ma quello “scherzo” finì per avere un effetto artistico e forse esistenziale decisivo per la vita del regista. Fu la premessa per uno dei capolavori della cinematografia italiana.

Giovedì 19 settembre la rassegna Matera, materia del sacro prosegue con The Passion di Mel Gibson (2004). Prima della proiezione ne discutono Antonella Sciarrone Alibrandi, protettore vicario della Cattolica, Mariagrazia Fanchi, direttore dell’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo, mentre i giornalisti Federico Pontiggia  e Vito Salinaro raccontano alcuni retroscena della “passione di Cristo” portata sul grande schermo dal regista statunitense. Pietro Sarubbi, che nel film ha interpretato Barabba, porta infine il proprio ricordo del set.