Quello raccontato dal lungometraggio Aujourd´hui - Tey del franco-senegalese Alain Gomis , in concorso al Festival di Berlino, è l'ultimo giorno di vita di Satché (interpretato dal validissimo attore-musicista americano Saül Williams). Satché è forte e sano, eppure accetta la morte imminente. Cammina per le strade della sua città del Senegal, osserva per l'ultima volta i luoghi di una vita: la casa dei genitori, il primo amore, gli amici del'infanzia, la moglie, i figli. E ogni volta lo stesso rimprovero: ‘Perché non sei restato in America. Perché non hai scelto il futuro? Satché va incontro alle ultime ore con paura e gioia. Nel suo film il regista Alain Gomis prende un tema caro al cinema del suo paese, il Senegal, e lo rovescia: non una storia di emigrazione o neocolonialismo, ma un ritorno. Dall'America alle radici. Ma la disillusione è cocente. Anche l'ultimo giorno. Gli amici di una volta sono avidi, la malizia è negli occhi di molti. I ricordi romantici di una volta, sbiadiscono nella realtà. L'incontro con la realtà, tuttavia, dà pace. Il film è stato accolto dalla critica con riserve: triste, tragico, emozionale. Gli attori Saül Williams, Aissa Maiga e Djolof M´bengue, invece, sono straordinari.
Viceversa, La Demora dell'uruguayano Rodrigo Plá, presentato nella sezione Forum, è un film sulla povertà e la stanchezza che questa sempre porta con sé. Una storia tragica e una storia di tutti i giorni. Anzi, di sempre più giorni. Una storia che sarebbe difficile trovare da qualche altra parte, per la sua banalità. Una donna stanca e sottopagata  si ritrova costretta a mettere fuori di casa il padre afflitto da demenza. La scelta è tra mantenere i tre figli o il padre. A Rodrigo Plá riesce l'impresa non facile di portare la storia su un altro piano. Non per forza più elevato della semplicità, ma altrove, dove le sfaccettature confondono le ovvietà. La Demora non è un capolavoro, ma un lavoro molto vicino all'arte. Si appartiene ancora a un luogo, o a qualcuno, quando non ci si ricorda più di nulla, chiede e si chiede Augustín in uno degli ultimi momenti di lucidità. Quando gli riesce ancora di riconoscere che la sua casa non è più né la famiglia, né un cerchio di amicizie, ma la burocrazia di un centro per anziani. La scena di apertura è densa di tutte le nuance successive. Quando la donna con malcontento e tenerezza fa la doccia al padre, lo veste, il tema centrale è già dipinto. E non gli manca nessun colore: la dolorosa ambivalenza delle responsabilità.