“Anche io sono stato un carnefice". Così il regista israeliano Samuel Maoz, Leone d'Oro della 66esima Mostra di Venezia con Lebanon. Dal 23 ottobre in 50 sale con Bim, il film ritorna alla Prima Guerra del Libano sul filo dell'autobiografia: soldato ventenne, il 6 giugno 1982 uccise per la prima volta. Dalla storia allo schermo, quella guerra è (ri)vista dal carro armato di Shmulik l'artigliere, Assi il capocarro, Hertzel il sergente e Yigal il pilota, in missione per perlustrare una cittadina ostile.
“Fare Lebanon è stato una necessità: dovevo trovare il modo di scaricare una responsabilità, non con un film politico, ma con un'opera che parlasse allo stomaco, e non alla testa, della gente”, dice Maoz, che ha registrato una fredda accoglienza in patria: “Non è stato preso troppo bene: vedere un soldato israeliano che piange e vuole tornare a casa non è piaciuto. Ma nel mio Paese c'è totale libertà nel fare film del genere”.
“Un film - prosegue il regista esordiente - che nasce dalla mia memoria soggettiva: io ero lì, dentro il carro armato. I ricordi mi sono serviti non tanto per documentare degli eventi, ma per raccontare le storie interiori dei carristi, quattro anime ferite su un mostro sanguinante”.
E anche l'anima di Maoz non si è rimarginata: “Anche io ho tirato il grilletto, sono stato un carnefice a soli venti anni. E se non lo avessi tirato, sarei stato comunque un carnefice: dentro di me lo sarò sempre. Se sei stato in quella guerra, in quell'inferno, non ne esci più”. Proprio perché “in Libano e in ogni altro conflitto, devi sopravvivere di fronte alla tua stessa morte: la tua anima è lacerata tra l'istinto di sopravvivenza e la morale”.
Da ultimo, Maoz rivela i suoi nuovi progetti: “Ne ho due: un film su una situazione postbellica e una commedia di stampo surrealista. Ma è davvero troppo presto per parlarne”.