Sopresa interessante il contributo della Nuova Zelanda in concorso a Berlinale. In realtà sono due i film neozelandesi presentati quest’anno al Festival. Mahana, in concorso, e Born To Dance di Tammy Davis, presentato nella sezione Generation, quella dedicata ai giovani, sul mondo dell’hip hop professionale neozelandese.

Mahana, di Lee Tamahori, è basato sul bel romanzo Bulibasha dello scrittore neozelandese Māori Witi Ihimaera. Gli anni sessanta in Nuova Zelanda si intravedono tra le canzoni rock alla radio, gli abiti inamidati, le automobili, qualche cinema all’aperto con le star di Hollywood. Per il resto la vita in quel paese sembra essere quella di un secolo prima. Due grandi famiglie clan di Māori, i Mahana e i Poata, gestiscono allevamenti di pecore della regione. Le famiglie sono nemiche da decenni e il quattordicenne Simeon, cresciuto all’ombra del nonno patriarca-padrone, vuole sapere perché. Il tentativo di Simeon di scoprire la verità mette a rischio non solo la sua vita, ma anche il futuro e la coesione dell’intero clan dei Mahana.

Mahana è il ritorno dell’acclamato cineasta Lee Tamahori dopo vent’anni di silenzio, nel segno della riunione con Robin Scholes, il produttore dell’ultimo successo di allora, Once Were Warriors. Mahana è un film importante su un tema importante e, di fatto, pressocché sconosciuto al cinema: la vita dei Māori, durante l’età coloniale, e oggi. Certo, i Māori sono stati, di fatto, conquistati, con le loro terre, le loro proprietà. Ma una forma di colonialismo civile è pure esistito. E la convivenza tra Māori e inglesi coloni ha prodotto una realtà umana. A unire i due popoli è stata, ed è giusto raccontarlo e dirlo, la religione cristiana. Assimilata certo, ma che i Māori hanno incluso, vissuto e fatta propria. E amata. È la fede a tenere unite le generazioni, i clan, le famiglie. E Mahana lo racconta con uno sguardo emozionante ma preciso. Anche grazie alla star di Once Were Warriors Temuera Morrison nei panni del patriarca, al regista è riuscita una saga familiare emozionante sullo sfondo di una natura che tutto pare decidere. Anche se la nuova generazione si accinge a rompere le antiche strutture, la cultura Māori con le sue tradizioni, rituali, e fede, è ancora capace di assicurare base e appoggio e continuità. L’interpretazione dell’attrice Māori Nancy Brunning (White Lies, The Pa Boys) è finora la più convincente delle prime sei pellicole viste in concorso. Anzi, magistrale.