Il denaro è l'unica divinità in Ascesa e caduta della città di Mahagonny di Kurt Weill, su libretto di Bertold Brecht, composta nel periodo in cui i due lavorarono stretti ad una nuova concezione dell'opera lirica, non più vagheggiamento di miti innocui cari alla borghesia ma raffigurazione graffiante di mali sociali. Una sintonia durata dal 1928 (L'Opera da tre soldi) al '33 (I sette peccati capitali), quando Weill dalla Germania emigrò in USA seguendo altri itinerari di compositore. Su Mahagonny crearono prima una semplice traduzione scenica di canzoni brechtiane (songspiel), dando poi vita ad una stesura più complessa con cui riproducevano le forme del melodramma tradizionale - con arie, duetti, terzetti - ma facendola implodere con un grottesco politico che sollevò scandalo al debutto del 1930, in una Germania già intrisa di nazismo. E' questa versione maggiore che l'Opera di Roma, i Teatri di Reggio Emilia, il Petruzzelli di Bari e il "Vittorio Emanuele" di Messina hanno allestito insieme con una bella prova di sinergia, da additarsi nei nostri tempi di sovvenzioni in calo. L'ente lirico romano la rappresenta ora sul palcoscenico del Nazionale fino a sabato 5. Ma all'eccezione della formula produttiva, per un'opera fondamentale raramente eseguita, si deve aggiungere quella di uno spettacolo molto pregevole per merito dell'organico messo in campo dall'Opera di Roma: in primis l'orchestra col direttore Jonathan Webb e il regista Daniele Abbado. La drammaturgia di Ascesa e caduta percorre la parabola della città situata in un West americano reinventato, dalla fondazione basata sull'attrattiva per turisti cercatori d'oro che si divertono sfogando i peggiori istinti, alla crisi e all'autodistruzione. Atto di accusa al capitalismo, di un Brecht che però non conosceva ancora Marx, e costruisce una sequenza suggestiva di scene a forte contenuto profetico. Un po' sacrificato sullo spazio scenico del Nazionale, Abbado risolve il ritmo assai animato del racconto serrando il movimento intorno ai poli decisivi del discorso politico, con il contributo determinante delle scene di Giacomo Andrico e della concertazione orchestrale di Webb che trova il giusto difficile timbro di Weill. Ottimo il cast dei numerosi cantanti-attori-ballerini.