Di uomini come Fernaldo Di Giammatteo si è perduto lo stampo: la stagione d'oro del cinema italiano. Rossellini, Fellini, Antonioni. Fernaldo è stato critico e studioso di un periodo in cui critici e studiosi avevano a che fare con i capolavori dei Maestri. Li vedeva nascere, li analizzava, ne parlava con gli autori. Fernaldo è stato tra i primi (e tra i pochi), in Italia, ad avere compreso che non c'è critica cinematografica che possa prescindere dalla specificità del mezzo cinematografico. Non si può fare critica senza sapere che la forma è contenuto, che la tecnica è linguaggio. Sembra facile, non lo è. Perciò Fernaldo non era solo un divoratore, un conoscitore enciclopedico di film, di autori e di attori. Era, anche, un didatta appassionato di storia, tecnica e teoria del linguaggio cinematografico. Oggi molti ricordano che è stato lui a portare il cinema in televisione, in un'epoca in cui nessuno si sarebbe sognato d'interrompere un film con uno spot. Pochi, invece, ricordano che Fernaldo è stato tra i primi a tentare di portare il cinema alla radio. Con la sua voce suadente, un po' precettore sapiente un po' pifferaio di Hamelin, sapeva condurti lungo percorsi in cui non sentivi la mancanza dello schermo, né grande né piccolo. I più giovani non possono che ricordarne incantati il suo charme da gentiluomo d'altri tempi. Fernaldo portava davvero, nei suoi modi e nei suoi tratti, i segni di una stagione di cui s'è persa la traccia, in cui il garbo e la cortesia non erano apparenza o buone maniere. Erano, al contrario, un modo d'essere: severo e gentile al tempo stesso. Come quando Fernaldo sapeva abbattere le barriere del rispetto ossequioso e del più deferente "lei" invitando il più giovane interlocutore a un più familiare "tu", in nome del fatto di "fare lo stesso mestiere". Pochi (o nessuno), in realtà,  facevano lo stesso mestiere di Fernaldo: storico, critico, teorico, saggista, giornalista, insegnante. Aveva i suoi piccoli dogmi laici, le sue chiusure, le sue passioni e le sue avversioni. Ma sapeva anche prendere il meglio da ciascuno. Non si può che essere così, se si dirige per decenni la collana del Castoro dando modo a un'intera generazione di critici emergenti di lavorare e di esprimersi. Fernaldo era capace di mettersi in ascolto di tutti, di spiegare e di persuadere, ma anche di lasciarsi convincere (o di far finta, almeno) o di trovare nuovi motivi di curiosità e di interesse non appena si trovasse a dialogare con chi condivideva la sua passione. Bastava chiacchierare di cinema con lui dieci minuti per avere l'impressione di ricevere (molto) e di dare (qualcosa): era proprio questo suo modo di porsi in ascolto. Un giorno si discuteva di Tarkovskij e di Andrej Rublev. Fernaldo l'aveva visto molto tempo fa, avrebbe avuto piacere di rivederlo. Ne conseguì la promessa di una videocassetta da spedirgli alla sua casella postale di Bologna. E' mancato, a chi scrive, il tempo di mantenerla.