Raccontare l'Olocausto ai più piccoli senza traumatizzarli né indottrinarli: è l'intento di Brian Percival, regista britannico noto per il gioiellino targato BBC Downton Abbey, a Roma nella Giornata della Memoria per presentare assieme al cast Storia di una ladra di libri. La pellicola, in uscita al cinema il 27 marzo per 20th Century Fox, è ispirata all'omonimo romanzo di Markus Zusak (in Italia per Frassinelli dal 25 febbraio), tradotto in 40 libri e con oltre 8 milioni di copie vendute. La colonna sonora firmata da John Williams (5 volte Premio Oscar) concorrerà ai prossimi Academy Awards il 2 marzo, dopo la candidatura ai Golden Globe e ai BAFTA.
Ambientato in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, il film racconta le vicende di una ragazzina coraggiosa, Liesel (l'esordiente Sophie Nélisse), e dei genitori adottivi Hans (Geoffrey Rush) e Rosa Hubermann (Emily Watson) che tentano di salvare un giovane ebreo.
“La sfida più grande – spiega il regista – è stata mettere in scena personaggi che potessero incuriosire gli adolescenti e magari portarli a conoscere la storia, quella con la S maiuscola, di una tragedia. Non amo le costrizioni perché generano rifiuto e risentimento. Ecco perché ho cercato di essere invisibile, di non inculcare il mio punto di vista lasciando al pubblico la libertà di entrare nella pelle dei personaggi, di averli a cuore, di amarli”.
La famiglia al centro delle vicende è “una delle tante”, eppure risulta “speciale”: “A volte – prosegue Percival – si danno per scontate le cose e le persone, mentre invece guardare le vicende di quel periodo con gli occhi della gente comune fa capire tanto. C'erano quelli che hanno abbracciato il regime nazista convinti che fosse un bene per la nazione e quelli che lo hanno fatto per paura. Alcuni hanno reagito a quell'ideologia rischiando persino la vita per fare la cosa giusta”. Quest'ultimo caso diventa il motore degli eventi: “Il tavolo della cucina di casa Hubermann – aggiunge Emily Watson – diventa metafora della situazione vissuta nella Germania dell'epoca. Il mio personaggio, antipatico e sgradevole, è una persona frustrata, triste, una tra i tanti poveri e disperati, senza lavoro. Assieme al marito, un uomo buono e generoso, prende una decisione onesta e coraggiosa quando un ragazzo bussa alla sua porta in cerca di aiuto”.
“Emily non usciva mai dalla parte, neppure tra un ciak e l'altro – ammette con candore la tredicenne protagonista – e mi parlava usando sempre l'accento tedesco. Geoffrey Rush, al contrario, aveva l'abilità da clown di ridere e scherzare ma, tra il segnale di azione e di stop, tornava nel personaggio all'istante, come per magia”.
Sophie Nélisse è al grande debutto, dopo un paio di lavori precedenti, anche se finora aveva grandi progetti: “Sognavo di partecipare alle Olimpiadi – parole sue – perché dall'età di 4 anni sono una ginnasta. Ho fatto l'audizione per questo film quasi per gioco e mai avrei pensato di essere richiamata, prima a Los Angeles e poi a Berlino, per altri due provini. Così ho dovuto scegliere tra lo sport e la recitazione: la storia di Liesel mi ha fatto innamorare e non ho saputo resistere al suo fascino”.