Ha scelto un film sull'Olocausto Lajos Koltai per il suo esordio nella regia. Celebrato direttore della fotografia, stretto collaboratore di Istvan Szabo (con cui ha vinto l' Oscar per Mephisto) e anche di Giuseppe Tornatore (La leggenda del pianista sull'Oceano), Koltaj porta in concorso al festival di Berlino Fateless, dramma ispirato all'omonimo romanzo dello scrittore premio Nobel Imre Kertesz, che ne firma la sceneggiatura. Coprodotto anche dalla Medusa, il film è il racconto doloroso e dettagliato dell'esistenza in un campo di concentramento attraverso lo sguardo di un giovane ebreo ungherese, interpretato da uno straordinario Marcell Nagy. Dopo la deportazione del padre in quelli che sono creduti semplicemente campi di lavoro, anche Gyuri (questo il nome del protagonista) viene rastrellato sull'autobus con cui va a scuola e portato prima ad Auschwitz, poi a Buchenwald. Perseguitato da un kapò ungherese, inizia la sua routine di fatica, dolore, sottomissione, degradazione. Perde i lunghi riccioli neri, dimagrisce progressivamente, spala sassi, trasporta sacchi pesantissimi, si lava di rado, contrae la scabbia, gli va in cancrena un ginocchio, è costretto a dormire vicino ai moribondi e a passare intere giornate in piedi, al freddo o sotto la pioggia. Eppure non "perde se stesso" (come dirà una volta uscito dal lager, prelevato per miracolo da una fossa comune dalle truppe alleate) né il contatto con la realtà. Che è fatta anche di piccole e necessarie astuzie per sopravvivere (prendere la porzione di zuppa di carote del compagno ormai morto) e di momenti che senza imbarazzo definisce "piacevoli": "Al campo il tramonto era l'ora più bella: i lavori erano finiti e si avvicinava il momento della zuppa", unico vero pasto della giornata. Fateless ricostruisce meticolosamente questa realtà, anche se Koltaj sceglie di non mostrare mai una camera a gas o un forno crematorio (Gyuri stesso racconterà di non averli mai visti). "Devo ricordarmi che esisto" dirà Gyuri tornato a Budapest e a chi sbrigativamente gli chiede di dimenticare quell'inferno risponde: "Non era l'inferno: perché i campi esistono, l'inferno no".