Tagliente e privo di filtri, proprio come le sue pellicole: Alex de la Iglesia chiede al pubblico di non risparmiargli domande scomode e promette di rispondere a tutte senza censure, una vera rarità per le kermesse cinematografie sempre più affette da divismi. All'8° Festival Internazionale del film di Roma (8/17 Novembre) presenta fuori concorso Las brujas de Zugarramurdi, ma è con la schiettezza della CineChat che conquista la platea.
“I miei film rispecchiano la mia filosofia di vita – esordisce il regista spagnolo di Ballata dell'odio e dell'amore – ma vivere vuol dire anche riconoscere i propri errori, in qual caso sono pronto a rimborsare i soldi del biglietto. Per quanto riguarda Las brujas de Zugarramurdi, rientra nella mia ricerca della “commedia perfetta”, proprio come i cavalieri della tavola rotonda rincorrevano il Sacro Graal. Rincorro l'idea dell'idiozia pura dove non si ha neppure il tempo di capire cosa succede e per realizzarla attingo a idee di un film che ho scritto vent'anni fa e che nessuno mi ha mai prodotto”.
All'appellativo di genio risponde storcendo il naso: “Nulla di quello che realizziamo ha in sé una reale novità, perché risulta invece la combinazione di elementi diversi. Il regista è come il barman: deve aspirare a realizzare un buon cocktail. E il risultato è ricordo di qualcosa già visto, quindi guardare avanti vuol dire voltarsi indietro. Il mio tuffo nel passato comprende l'incontro con Pedro Almodovar. Ha visto il mio corto muto e demenziale, Mirindas atesina, in cui facevo io stesso i suoni con la bocca cantando i motivetti di sottofondo. E io pensavo: “Può pensare che abbia un futuro nel cinema o che sia un totale imbecille”. Per fortuna ha scelto la prima opzione e così è nato il mio primo film, Azione mutante, nel 1993, dove per fortuna mi sono impuntato anche sulle scelte che lo lasciavano perplesso e alla fine non mi ha mandato via a calci”.
Se l'arte imita la vita, allora i rapporti umani secondo il cineasta sembrano tutti burrascosi: “I miei personaggi vivono tutti di conflitti – confessa – perché così funziona nella realtà. Non esistono reazioni normali con la gente: fingiamo di essere amici, ma coviamo invidie e gelosie così mentiamo in continuazione o, come ci insegnano, ci comportiamo in maniera civile ed educata. In ascensore incontriamo il vicino di casa che conosciamo da 20 anni e che non sopportiamo anche perché puzza ma invece di urlargli in faccia: “Odio te e tutto quello che rappresenti” gli diciamo: “Che peccato, oggi piove, speriamo che torni presto il sole”. Se così non fosse ci ammazzeremmo a vicenda perché siamo animali che difendono ciò che amano. Ma nei film abbiamo il dovere di dire le cose come stanno”.
Persino una simile dichiarazione d'intenti, però, a volte fa i conti con la possibilità di lanciare un messaggio di speranza e rifugge il cinismo: “Mi sento una prostituta del cinema – ammette – perché fornico con la mia testa, do via la mia vita per soldi. Eppure nel film La fortuna della vita ho preferito un finale con la morale. La moglie del protagonista dimostra che esistono ancora persone oneste che preferiscono la dignità alla ricchezza. Io non so se avrei rifiutato la valigetta con due milioni che le viene offerta in cambio delle ultime dichiarazioni del marito prima di morire. Per questo avevo riscritto la scena facendo in modo che l'uomo si salvasse e la donna ingannasse tutti scappando con i soldi. Dopo tante incertezze ho scelto di fare la cosa giusta”.