“L’uguaglianza si conta, la giustizia si applica”.

È un fiume in piena Jacques Audiard, presente oggi alla Mostra di Venezia dove è in gara con The Sisters Brothers.

The Sisters Brothers

Ma non è tanto il film ad accalorarne l’arringa, quanto la questione femminile nel mondo del cinema, tema sempre molto attuale, ancor più in questi giorni di Festival dopo l’attacco dell’Hollywood Reporter secondo cui la selezione ha pochi film diretti da donne e anche alla luce del documento firmato qualche giorno fa dalla Biennale, che ha aderito come altri Festival internazionali alla proposta del Movimento “50-50% entro il 2020”, con il direttore Alberto Barbera che ha comunque ribadito di non credere “al discorso delle quote in arte: in altri ambiti è giusto che esistano, ma in altri conta solo la qualità”.

Ebbene, sollecitato sull’argomento, il regista francese già autore de Il profeta, Un sapore di ruggine e ossa e Dheepan, habitué del Festival di Cannes e per la prima volta in concorso a Venezia, non si schermisce: “Quando ho saputo che in gara eravamo 20 registi uomini e una sola regista donna (Jennifer Kent con The Nightingale, ndr) ho scritto ai colleghi della selezione, ma non ho avuto chissà quali risposte. Poi ho sentito dire che di fronte ai film non conta il sesso di chi li realizza, ma la qualità dell’opera. Proviamo allora a non porci la questione del sesso nei film e chiediamoci se i festival abbiano un senso. Sono 25 anni che i miei film vanno nei Festival, non ho mai visto molte donne alla guida delle varie manifestazioni. E ho sempre visto gli stessi volti, gli stessi uomini, anche se in ruoli diversi. Smettiamola di riflettere su altre cose. Io ne faccio una questione di uguaglianza e giustizia. L’uguaglianza si conta, la giustizia si applica”.

Prima di tutto questo, si era parlato del film. Che il regista ha tratto dall’omonimo romanzo di Patrick DeWitt: “Mi piacciono i western anni ’70 ma non mi considero un appassionato del genere. Qui manca quella mitologia, quello che ci interessava davvero era il discorso sulla violenza dei padri fondatori, oltre naturalmente alla componente del romanzo di formazione. Questo film parla d’amore, anche se non è quello tra un uomo e una donna, ma tra due fratelli”.

The Sisters Brothers

Già, perché come da titolo, The Sisters Brothers è incentrato proprio su due fratelli, Eli e Charlie, che di cognome fanno Sisters, ovvero “sorelle”.

Interpretati da John C. Reilly e Joaquin Phoenix (solamente il primo dei due presente al Lido), i due fratelli sono due cacciatori di taglie. Per vivere, uccidono. Assoldati, ancora una volta, dal losco commodoro (Rutger Hauer, un paio di pose, entrambe silenziose, la prima lo scorgiamo dietro ad una finestra, la seconda in una bara), i due si mettono sulle tracce di un detective (Jake Gyllenhaal) impegnato a seguire un uomo (Riz Ahmed) che deve prima essere bloccato. E poi, ovviamente, fatto fuori.

Ma il viaggio dall’Oregon alla California, siamo nel 1851, potrebbe modificare per sempre la loro esistenza.

“Lavorare con Phoenix, il più grande in circolazione, è stata una sfida. È sempre ossessionato dalla verità nelle sue performance. Poi è sembrata la Torre di Babele questa produzione, spagnoli, rumeni, inglesi, francesi, italiani, abbiamo costruito molti ponti dal punto di vista culturale e linguistico ed è stato davvero bello”, racconta John C. Reilly, anche produttore del film (tra gli altri, anche i fratelli Dardenne), che è stato interamente girato in Europa, in Spagna e in Romania.

“È stata una combinazione di molte cose, Audiard è sempre molto chiaro rispetto a ciò di cui ha bisogno. Mi sembrava di essere nelle migliori mani possibili, avevo paura di deluderlo. Credo che il lavoro dell’attore sia come quello di un soldato, che deve essere sempre leale con il suo capitano”, conclude l’attore.