Oltre a essere il direttore del festival di Cannes, ne ha fondato un altro l'anno scorso a Lione, sua città natale. L'Istituto Lumière, di cui è a capo, si occupa di film restaurati e la rassegna Lumière 2010 (4-10 ottobre) propone opere rare o praticamente scomparse, come fanno la Cineteca di Bologna e il Museo del Cinema di Torino. Far rivivere il cinema del passato e riconsegnarlo alle nuove generazioni è la missione di Thierry Fremaux.
Non sei solo il direttore del più grande festival e dell'Istituto Lumière: recentemente, hai creato una seconda manifestazione interamente dedicata al patrimonio cinematografico, che è arrivato alla seconda edizione. Quali sono gli elementi chiave o meglio gli ingredienti che hanno determinato il successo enorme sin dall'inizio?
Il mio primo lavoro è il festival di Cannes. L'organizzazione, l'equipe, i progetti sono il pensiero con cui mi sveglio e mi addormento ogni giorno. Nel 2001, quando Gilles Jacob mi ha proposto di raggiungerlo a Cannes, gli ho chiesto di poter ‘tenere un piede' a Lione.
Mi sembrava necessario per il mio equilibrio ma anche per conservare una relazione diversa con il cinema e gli autori. Il patrimonio è un intrattenimento intellettuale, una sorta di contemplazione, di riflessione che protegge dagli eccessi di Cannes, che è anche un luogo di strategie e di potere. Il festival che l'Istituto Lumière ha creato a Lione (è un tentativo di valorizzare il percorso del ‘Primo Film', vale a dire ricordare che il Cinematografo dei Lumière è nato a Lione, e fare in modo che anche lo spettatore si appassioni alla Storia e non solo ai gossip e alle interviste dei divi. Il pubblico è intatto, incontaminato, bisogna mostrargli belle cose, e nel cinema ce ne sono un'infinità. L'obiettivo è far vedere copie restaurate di opere dimenticate agli spettatori di oggi, come fanno Torino e Bologna. Questo non significa solo film muti: bisogna restituire la storia del cinema recente alle giovani generazioni. Noi lo facciamo invitando attori, attrici, registi che vengono a parlare di questa passione.
Definiresti necessaria o indispensabile l'esperienza di Cannes in rapporto al tuo percorso personale?
Della mia generazione sono uno dei pochi che è rimasto dentro la ‘sfera culturale pubblica'. E' un concetto molto importante per me, senza dubbio scaturito da un'educazione in cui il volontariato, la militanza, la politica erano fondamentali. A 30 anni non sono diventato regista, critico, produttore o distributore. Sentivo che dovevo fare altro, valorizzare il lavoro degli altri, che il cinema (a Lione, allora non sognavo neanche Cannes) aveva bisogno di ambasciatori. E' quello che sto cercando di essere. Quando Gilles mi ha chiamato, mi sono stupito ma credo che fosse la parte ‘non parigina' e cinefila a piacergli. Da studente avevo provato a intervistarlo in merito alla rivista che aveva fondato appena ventenne, nel ‘50, un anno prima dei Cahiers du cinéma! Ci siamo rincontrati e tutto è andato bene.
Quali sono le qualità necessarie per essere un buon direttore?
Conoscere il cinema, la sua storia come l'attualità. Essere aperti al mondo e alla gente. Saper stare a capo di un'equipe e avere coraggio politico. Bisogna essere diplomatici e a volte dimenticare di avere una vita privata. E infine: amare gli aeroporti e accettare di bere birre fino a tarda notte. Ma questa è la descrizione perfetta. Io non ci sono ancora arrivato ma sto migliorando!
Le linee guida di questa edizione del festival di Lione?
In un paese che ha tanti festival, bisognava trovare un'idea forte e legittima. Quella di Lione è nel suo DNA, e oggi con la digitalizzazione l'accesso ai film è più facile e la cinefilia delle nuove generazioni è cambiata. Il nostro motto è rifiutarsi di dire: ‘Sono vecchi film!'. Non ne esistono come non ci sono dipinti vecchi. Il cinema deve dotarsi di un'età classica. Si dice della pittura, della letteratura e della musica da tanto tempo. E' a questo che lavoriamo a Lione, a Torino, a Bologna a Pordenone e in tutte le cineteche del mondo. La nostra ricetta è la proiezione di film restaurati, accompagnati da divi che li presentano, tantissimo pubblico e trenta sale per accoglierli. Quest'anno il premio Lumière lo daremo a Milos Forman, ci sarà anche una retrospettiva integrale dedicata a Visconti, rarità degli anni '70, un omaggio a Dario Argento, la presentazione di Amici miei di Mario Monicelli (restaurato in 4k ad opera di Filmauro, ndr) e a un cineasta francese sconosciuto che ha fatto il passaggio dal muto al sonoro: Raymond Bernard. Sarà una festa!
La più grande soddisfazione e la delusione maggiore.
Sentirmi utile agli autori, ai professionisti e al pubblico. La delusione, è talvolta la mancanza di generosità. Quanti film sono criticati a Cannes e incensati tre mesi dopo quando escono in sala? Lo stesso vale per la lotta ai pettegolezzi, la disinformazione e le bugie. Certo, fa parte della leggenda di Cannes, ma la tendenza si è accentuata con la diffusione di Internet.
Un sogno ancora da realizzare?
Che l'Olympique Lione vinca la Champions Leaugue!