«Nella mia vita ho conosciuto persone che mi hanno aiutato a sentirmi libera, a essere me stessa, e ho avuto la fortuna di vivere in mezzo alla Storia: tra una sinistra cattolica, dolcemente innovativa, e il socialismo a casa. Sono cresciuta dunque con l’abitudine al dialogo. Mi sembra evidente che quello che manca oggi è la Storia: non si impara più niente dal passato e questo genera una superficialità pazzesca». Con queste parole Liliana Cavani ha accettato oggi il Premio Bresson, conferitole dalla Fondazione Ente dello Spettacolo con il patrocinio della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e del Pontificio Consiglio della Cultura.

Consegnato nella cornice della Sala Tropicana 1 dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia nell’ambito della 75a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, è la prima volta dalla sua istituzione nel 1999 che il Premio Bresson viene assegnato a una regista. «Le donne devono riuscire a farsi conoscere: c’è sempre il timore di investire su qualcuno di nuovo, ma quello che ci si può aspettare da una donna brava e diligente dovrebbe essere lo stesso che ci si aspetta da un uomo. Ci sono tante donne che appena hanno modo di dimostrare le loro qualità sono apprezzate e richieste».

A consegnare il premio a Liliana Cavani è stato mons. Nunzio Galantino, Segretario generale CEI e Presidente dell’APSA, con la seguente motivazione: “Autrice refrattaria alle mode, radicale e felicemente provocatoria, la sua opera assorbe e restituisce con notevole forza espressiva la tensione intimamente cattolica tra la vocazione alla santità e la legge di gravità del peccato. Un conflitto talvolta aperto (come nella trilogia su Francesco o nei documentari sulla vita consacrata non secolare: Gesù mio fratello e Clarisse) e altre volte camuffato in storie di uomini e donne in faticosa ricerca, attraverso percorsi di sperimentazione continua, tra smarrimenti, consapevolezze e bagliori”.

Nel consegnare il premio, mons. Galantino concorda con Liliana Cavani nel giudicare problematico il nostro presente: «Viviamo in una cultura da stadio, dove si è incapaci di guardare l’altro non come avversario ma come concorrente. C’è l’incapacità a guardare le storie delle persone, soprattutto quelle dei pochi, delle minoranze».

Ha presentato Tiziana Ferrario, inviata Tg1 Rai, che ha espresso la sua stima per Cavani, «un modello da imitare, una persona coraggiosa che già decenni fa osava andare contro la banalità e contro gli stereotipi femminili». Quanto può essere utile un’iniziativa come quella voluta dal Ministero dei Beni Culturali per promuovere il cinema delle donne? «Il cinema è cresciuto soprattutto partendo dal privato, personalmente credo poco nelle istituzioni che promuovono il cinema, perché penso che l’Italia non sia il paese adatto, tra nepotismi e fragilità economiche. Credo che innanzitutto si debba investire, a monte, sulla cultura e sull’istruzione».

L’edizione di quest’anno della Mostra del Cinema di Venezia è particolarmente importante per Liliana Cavani anche perché verrà proiettato Il portiere di notte, nella versione restaurata dall’Istituto Luce - Cinecittà e dal Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale.

Mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo dichiara: «Oggi è un giorno solenne, il momento più importante per noi della Fondazione Ente dello Spettacolo. Anche perché quest’anno la Rivista del Cinematografo festeggia i suoi 90 anni».

Presenti anche Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia, e Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra del Cinema. «Io mi sono formato in parrocchia, anche cinematograficamente, come tanti. Per 20 anni sono stato legatissimo a un’idea tradizionale di cristianesimo, poi però ho incontrato la complessità dei valori scoprendo vari autori, tra cui Liliana Cavani, che ringrazio per tutto quello che ha fatto e per tutto quello che farà», interviene Barbera.

Ribadisce la necessità di dialogo e di confronto anche Paolo Baratta: «In un’epoca come questa, all’insegna dell’iper-semplificazione dei 140 caratteri di un tweet, iniziative come questa diventano sempre più importanti: bisogna trovare il tempo per riflettere, per dialogare e per discutere. Il cinema reagisce con la volontà di riaffermare i valori della condizione umana: l’impegno intellettuale e morale».