“Pavarotti è un nome che conoscono in tutto il mondo, ma quanto conoscono di lui? Ho iniziato a leggere, ho cominciato a capire che tutto sommato anche la sua vita aveva qualcosa di analogo all’opera lirica, che era comprensibile attraverso le arie da lui interpretate: i momenti in cui cantava non erano solo esibizioni, Pavarotti instaurava un legame emotivo come fanno i grandi attori”.

Parola del regista premio Oscar Ron Howard, che porta alla 14esima Festa del Cinema di Roma il documentario Pavarotti, che arriverà nelle sale italiane solo per tre giorni, il 28, 29 e 30 ottobre. Sullo schermo la storia, la voce, i segreti e la leggenda del tenore Luciano Pavarotti e della sua irresistibile ascesa, da figlio di un fornaio – tenore a sua volta – di Modena a superstar internazionale, capace di vendere oltre cento milioni di dischi e, in occasione della Coppa del Mondo del 1990 in Italia, di unirsi ai colleghi tenori Placido Domingo e José Carreras innanzi a un pubblico di un miliardo e quattrocentomila di persone. La loro interpretazione a Caracalla di Nessun Dorma è rimasta nella storia, come pure i successivi concerti di Pavarotti & Friends, in cui Luciano associandosi a popstar (Sting) e rockstar (Bono) ha ancor più esteso gli orizzonti della lirica.

Pavarotti performs at the People's Assembly in Peking, China. (Photo by Vittoriano Rastelli/CORBIS/Corbis via Getty Images)

“Una vita che meritava di essere celebrata”, dice Howard, complice una “famiglia disposta a collaborare, cosa che prima non accadeva, a fidarsi e affidarsi”: la prima moglie Adua Veroni, le figlie Lorenza, Alice e Giuliana e la seconda moglie Nicoletta Mantovani. Era “un genio artistico senza pari e al tempo stesso una persona unica, indimenticabile”, prosegue Howard, che “da bambino era quasi morto (di tetano, NdR) per cui aveva deciso di vivere la vita, ogni giorno, come un’opportunità”. Dai suoi occhi traspariva la “gioia di vivere, ma c’era anche rimpianto, abbandono e follia che poteva anche ferire”.

Grazie alla partnership con Decca Records e all'accesso esclusivo agli archivi di famiglia e al vasto materiale musicale ripreso dal vivo, il documentario inquadra dalla nascita alla morte un marito e padre, un filantropo instancabile e un artista sensibile. Il produttore Nigel Sinclair ne sottolinea l’italianità, ovvero “la determinazione a non dimenticare le radici contadine, Modena, il cibo della zona: portava con sé la sua cucina per il mondo, e ne faceva un segno di amicizia, rapporti stretti”, Howard “il sorriso carismatico, era uno straordinario ambasciatore per l’opera, portarla alle masse il suo progetto: mi auguro che il nostro film possa rendergli giustizia, anche chi non ama l’opera può capirlo”.

“Ci siamo avvicinati all’uomo, ma qualcosa lo ha tenuto per sé”, dice Sinclair, e sulla stessa lunghezza d’onda Howard: “Rimane ancora un’aura di mistero, anche se è un doc quello che vediamo è ancora un’interpretazione. Abbiamo scelto nel materiale per dare coerenza, informare e entusiasmare anche chi non conoscesse l’opera”.

Rispetto a due dei contributi più significativi, quello del leader degli U2 Bono Vox e della prima moglie Adua, Howard confessa di non averli raccolti in prima persona, ma commenta: “Quello di Bono è straordinario, riluce il suo amore per il maestro, e insieme tradisce la sfacciataggine di Luciano, il suo agevolare le cose perché potessero accadere: per me, la prova del suo coraggio, passione, azzardo”. E su Adua: “In queste interviste si vede che vi è perdono, non oblio, e sono le lezioni più preziose da condividere”. Conclude Sinclair: “Nelle famiglie queste cose accadono, la magnifica Adua lo dice. Entrambe famiglie parlano con onestà, alla fine si sono riuniti tutti davanti a Luciano. Confesso, al primo montaggio ho pianto”.