“Quello di dicerie, storie e leggende popolari è un problema senza tempo” dichiara André Øvredal, regista di Scary Stories to Tell in the Dark, dalla penna di Guillermo Del Toro alla selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma 2019 e, dal 24 ottobre, al cinema. “Questo film rappresenta come una vita intera può essere condizionata o distrutta da rumours: succedeva da molto prima degli anni ’70 e oggi lo facciamo online”.

Il film, per dimostrare questo punto, si rifà all’omonima raccolta di racconti horror, arcinoti tra lettori e adolescenti negli USA. “Guillermo Del Toro e gli autori hanno selezionato tra centinaia di storie quelle più spaventose per i nostri personaggi. Red spot è un esempio: l’incubo sull’acne che conoscono tutti i ragazzi americani, si racconta da decenni, se non da secoli”.

E cosa ne dice Øvredal sulla definizione che lo stesso Del Toro dà della pellicola, ovvero ‘horror umanistico’? “Una descrizione azzeccata. Volevamo creare dei personaggi con cui empatizzare, dar loro tempo al di fuori dell’orrore. È un film con un cuore, come tutti quelli di Guillermo, d’altronde”.

Esiste un legame tra il film e alcune serie TV recentemente salite alla ribalta, come Stranger Things, ambientata negli anni ’80 attorno alle vicende da brividi di protagonisti preadolescenti? “C’è sicuramente molto che il cinema di oggi prende dalla Televisione” risponde il regista. “Basti pensare a come le serie sono molto incentrate sui personaggi. Il Joker di Phillips ne è un esempio: segue le vicende di un solo uomo comune, disperato, solo, miserabile… ed è un grandissimo successo al box office!”.