“Non vengo da studi classici, abbiamo approcciato la tragedia greca in modo naif. Una tragedia che non è tragedia, ma porta nuove idee: credo Le Eumenidi illumini ciò che è legale e ciò che non è, ma anche, per la prima volta, sancisca il passaggio nella cultura occidentale dal matriarcato al patriarcato, giustificando il femminicidio, il matricidio. Siamo dentro tutto questo, volenti o nolenti siamo figli di quella cultura”. Così il regista Gipo Fasano presenta il suo esordio al lungometraggio, Le Eumenidi, in cartellone alla XV Festa del Cinema di Roma, sezione Riflessi.

Della terza tragedia dell’Orestea, “un testo sacro”, Fasano ha fatto “la nostra struttura abitativa, un campo di gioco, sapevamo dove andare con Eschilo, ci rimetteva sui binari”.

Gestazione di tre anni, riprese (130 ore) per un anno e mezzo, 70 minuti di film, bianco e nero in formato 2.37 a 1, il protagonista, Valerio (Valerio Santucci), è di casa ai Parioli e passa tra ristorante, palestra, feste e amici in un’ottica allucinata, colpevole e apocalittica. “Io mi sono messo sempre a disposizione, l’idea era dei miei migliori amici, Gipo e il produttore Giorgio Gucci, che hanno voluto dedicarmi a questo progetto, e mi hanno totalmente appassionato. Ha tracciato un solco nella mia anima, questi tre anni ci hanno cambiato”.

Le Eumenidi, aggiunge Fasano, “è un film di finzione, costruito sulla struttura di una notte, nondimeno temevo di incappare nel finto, nella scrittura eccessiva. Col tempo ho voluto creare dei ring, che contenessero elementi di sceneggiatura e libertà di espressione”. Fondamentale l’uso dello smartphone per le riprese: “Non ci doveva essere barriera, il cellulare garantiva un distacco più pop”.