Il confronto tra Clint Eastwood e la storia americana è un elemento ricorrente e tangibile nel suo cinema, anche quando si manifesta in forme più tangenziali o addirittura sotterranee: il mito disilluso della frontiera in western come Il texano dagli occhi di ghiaccio o Gli spietati, la seconda Guerra Mondiale nel dittico Flags of Our Fathers/Lettere da Iwo Jima, la Guerra di Corea in Gran Torino, l'omicidio di John F. Kennedy in Un mondo perfetto ne sono gli esempi più evidenti.Con il suo nuovo biopic su J. Edgar Hoover l'autore sceglie di dare continuità e insieme aggiornare il suo discorso sul rapporto tra singolo individuo ed evento storico, ribaltando però la prospettiva: al centro della vicenda stavolta non c'è l'uomo qualunque che in qualche modo subisce gli effetti del periodo e dei fatti che gli accadono intorno, ma al contrario stavolta protagonista diventa uno che la storia dell'America l'ha fatta, pur rimanendo (quasi) sempre in ombra. Facilitato dalla natura contraddittoria di un personaggio che, pur assetato di potere e fama, ha agito sempre in quelle retrovie in cui si poggia il potere più ambiguo, Eastwood ha però scelto di raccontare Hoover nella stessa maniera degli altri suoi antieroi, quella che meglio si accorda al suo stile di cinema più intimo e interno.Prodotto dalla Malpaso di Eastwood insieme alla Imagine Entertainment della coppia Brian Grazer/Ron Howard, costato 35 milioni di dollari, J. Edgar è un film che probabilmente scontenterà chi si aspetta una denuncia degli intrighi orditi da Hoover nel periodo in cui ha diretto l'F.B.I.; la sceneggiatura del premio Oscar per Milk Dustin Lance Black sceglie infatti di raccontare soltanto gli eventi storici che contribuiscono a esplicitare meglio il carattere ossessivo e la psicologia complessa e ambigua del protagonista, primo tra tutti il famigerato rapimento del neonato figlio di Charles Lindbergh, avvenuto nella primavera del 1932.Quasi tutto il resto della Storia con la “S” maiuscola è appena accennato, utilizzato per suggerire il desiderio mai sopito di controllo e insieme di protagonismo di Hoover. Quello che Eastwood mette in scena è invece un ritratto privato, delineando una personalità che ha costruito con caparbietà ossessiva una forza capace di schiacciare ogni debolezza umana, e con essa anche i sentimenti.Girato quasi interamente in ambienti interni, soprattutto l'ufficio di Hoover e l'abitazione privata condivisa per anni con sua madre Annie, J. Edgar esplicita con l'eleganza contenuta del miglior cinema di Eastwood che anche il potere più grande e coercitivo alla fine è soggetto all'animo umano e alla sua debolezza, a psiche che possono essere frammentate e allo stesso tempo fortissime.Nei panni di Hoover Leonardo Di Caprio, attore che con questo ruolo approfondisce il suo percorso di studio sull'ambiguità umana con una prova di sottile e preziosa cesellatura: ogni variazione, ogni minimo cambiamento nel carattere e nelle idee del protagonista vengono accennate grazie a un lavoro mimico esemplare. Accanto a lui un cast di prim'ordine: Naomi Watts nei panni silenziosi ed efficienti della segretaria privata Helen Gandy, Judi Dench in quelli della possessiva madre, l'astro nascente Armie Hammer - interpretava entrambi i gemelli Winklevoss in The Social Network - nel ruolo scomodo del braccio destro Clyde Tolson, con cui Hoover ha intrattenuto un rapporto che nel film viene suggerito come un qualcosa che andò oltre la più stretta amicizia.Anche se molta della critica americana è rimasta spiazzata dall'impostazione che Clint Eastwood ha dato al suo film, J. Edgar dovrebbe essere tra i principali candidati alla corsa ai premi importanti: Leonardo Di Caprio è senza dubbio tra i favoriti per entrare nella cinquina degli Oscar, raggiungendo così la sua quarta nomination. Anche nelle categorie delle attrici non protagoniste Naomi Watts e Judi Dench hanno più di qualche probabilità di dire la loro. E poi, ovviamente c'è Clint Eastwood, regista che riesce con ogni suo film - e J. Edgar non fa eccezione, tutt'altro! - a proporre delle variazioni minime ma importanti a uno stile ormai personale e pienamente riconoscibile.Ritratto “da camera” di una figura tra le più ambigue e melliflue del XX secolo - se vi interessa approfondire il lato oscuro di Hoover leggete la trilogia del grande scrittore noir James Ellroy, composta da American Tabloid, Sei pezzi da mille e Il sangue è randagio - J. Edgar è tassello enigmatico e affascinante che si aggiunge alla filmografia di uno dei più grandi autori di cinema contemporanei.