Chi s'aspettava l'affondo politico da strillare domani sui giornali sarà rimasto deluso. Quello di scena a Roma è un Oliver Stone misurato e promozionale. Scortato da John Travolta versione Madame Tussauds e Salma Hayek in veste manageriale (con tanto di tailleur formato azienda), il regista, noto per le sue amicizie castriste e per le posizioni nei riguardi dell'establishment americano, arriva con 45 minuti di ritardo alla conferenza stampa indetta per Le Belve e non ha molta voglia di parlare. Unica concessione, le imminenti elezioni presidenziali di novembre: "Se vince Mitt Romney torniamo all'era Bush. Se vince Obama coltiveremo un filo di speranza. Dubito però che riusciremo a cambiare un sistema che ci siamo auto-imposti".
Per saperne di più Stone invita a non perdere la sua prossima opera enciclopedica sulla storia americana ("Ci lavoro da quattro anni, sarà un documentario di 10 ore") che promette rivelazioni pepate anche sull'amministrazione Obama.
Il resto dell'incontro va avanti secondo copione, con Stone impegnato a tenere il basso profilo e i due attori deputati al consueto panegirico sul film, i personaggi, l'esperienza sul set e quant'altro.
Il film, dunque. Le Belve (titolo originale Savages, che ha un'accezione meno negativa) è tratto dal romanzo omonimo di Don Winslow e rappresenta il tentativo di Stone - dopo una sfilza di lavori militanti (vedi i doc dedicati a Fidel Castro e Hugo Chavez) - di tornare al pulp di Assassini nati sperando nel contemporaneo ritorno di fiamma del grande pubblico. Protagonisti Ben, Chon e Ophelia - per i quali Stone ha chiamato le nuove leve del cinema hollywoodiano, Taylor Kitsch, Aaron Johnson e Blake Lively - i quali oltre a essere giovani carini e occupati nel più grande commercio di marijuana della California meridionale, si amano alla maniera di Jules & Jim. Vanno al massimo finché - sembra di risentire Vasco - non si va in Messico. Meglio, è il Messico - nella fattispecie il cartello della droga gestito da una bella signora (Salma Hayek) e dal suo fido assistente (uno splendido, abominevole, Benicio Del Toro) - che va da loro per "invitarli" (eufemismo) a sottoscrivere un accordo commerciale. Il rifiuto del quale costerà caro.
Oliver Stone: "Con Don Wnislow c'è stata qualche divergenza, ma alla fine ha deciso di sostenere il film. D'altra parte il regista ha sempre l'ultima parola". Tradotto: ho girato un finale alternativo a quello del libro, ridotto le scene e dato maggiore spessore al personaggio interpretato da John Travolta, un agente della DEA che fa il doppiogioco: "Ci sono tutte le cose che amo vedere in un film", dice il tiratissimo John senza specificare quali. Poi, per far contenti i giornalisti di casa nostra che continuano a incalzare con domande irritanti del tipo "che influenza ha avuto il cinema italiano sul film?" (e poi non siamo provinciali, eh), aggiunge: "Oliver ha notato che negli ultimi anni il cinema è diventato più oscuro. Non si riesce quasi più a vedere nulla. Questo al contrario è un film luminoso, alla Sergio Leone".
Capitolo Salma. Prima blandisce il suo regista ("Se mi avesse chiesto d'interpretare un albero l'avrei fatto"), poi si infervora  ("Per entrare nel personaggio ho incontrato il vero boss di un cartello, una donna il cui marito era in carcere. Ho capito che le donne sono più dedite agli affari, non hanno la sindrome da macho che caratterizza gli uomini e che li spinge a farsi la guerra tra loro"), infine s'improvvisa capopolo ("Viviamo un'epoca difficile, dobbiamo cambiare. Se ci ostiniamo a seguire i nostri interessi anziché quelli della comunità, siamo destinati a diventare tutti selvaggi)". Ci pensa Oliver Stone a rimettere tutti in riga: "Cosa ho imparato in tutti questi anni? Che mio padre aveva ragione. Quand'ero piccolo mi ripeteva sempre di non dire mai la verità, mi avrebbe dato molti problemi".
Le Belve uscirà in Italia il prossimo 25 ottobre distribuito in 350 sale da Universal.