Un uomo che affronta una disgrazia dopo l’altra, come Giobbe nella Bibbia. Una canzone che non si sente, ma che viene ballata nel corso di un funerale, davanti a una platea attonita, da colui che ha appena perso sua madre.

Ecco, l’uomo in questione è Jim Arnaud, un poliziotto texano alla deriva, mentre la canzone in questione (o meglio in ballo) è di Bruce Springsteen ed è la famosa Thunder road, che presta il nome a questo bellissimo film scritto, diretto, interpretato e perfino montato da Jim Cummings, in uscita il 15 aprile con Wanted Cinema su Io Resto in Sala e Wanted Zone.

Classe 1985, Cummings non è solo un tutto fare, ma è anche una promessa, un futuro “The Boss” del cinema indipendente americano, e, nonostante la sua giovane età, proprio come il suo protagonista, già ne ha passate parecchie.

“C’è molto di biografico in questo film- racconta-. Me lo ha fatto capire mia sorella facendomi notare che rappresenta me e la nostra famiglia. Ho cinque sorelle e ho messo insieme le loro caratteristiche all’interno dell’unica sorella che c’è nella storia. Non ho figli, ma tanti nipoti. Ho vissuto l’esperienza del divorzio e la battuta del film. E’ una storia costellata di elementi del mio vissuto”. Tra questi anche il personaggio di Nate (Nican Robinson), un collega poliziotto afroamericano, amico di Jim Arnaud:  “Quando ho divorziato nel 2014, gli amici sono stati l’unica cosa che avevo. Mi hanno accompagnato e supportato mentre affrontavo le pene dell’inferno. E’ difficile soprattutto per gli uomini, ancora di più per i poliziotti, riuscire a parlare della propria depressione, delle proprie ansie e dei propri pensieri suicidi”.

Di fatto questo è un film che mostra le fragilità dell’uomo macho, raccontandoci in chiave tragicomica le difficoltà di una persona che in poco tempo perde non solo la madre, ma anche la moglie, il lavoro e l’affidamento della figlia.

“In America la nostra società è guidata dal testosterone- dice il regista-. Tendiamo a celebrare figure maschili estremamente forti, ma in realtà queste figure sono pericolose per la nostra società. Sono cresciuto guardando i film di Indiana Jones e volevo rappresentare questo tipo di personaggio in chiave comica, facendo vedere un uomo duro che collassa o che non ha la più pallida idea di cosa stia facendo. Questo crea empatia nel pubblico”.

Molti americani, dopo aver visto il film, infatti lo hanno ringraziato. “E’ un film per persone tristi e che si sentono sole. Racconto un uomo che comunque riesce a sopravvivere davanti a qualsiasi disgrazia gli si presenta davanti. Ho voluto dare le munizioni necessarie a coloro che ne avevano bisogno”, dice Jim Cummings. Lo stesso Springsteen lo ha visto ed apprezzato. La sua voce però nel film non c’è (al contrario è presente nel corto, vincitore del Sundance nel 2016, da cui poi è nato il lungo). La sua canzone riveste comunque un ruolo importante nella storia: “In Thunder road c’è un uomo che cerca di convincere una giovane donna ad abbandonare la cittadina in cui vivono per evitare una vita non bella. Lì il tema principale è quello della storia d’amore, io invece l’ho trasposta in una relazione tra un padre e una figlia”.

Altro tema affrontato è quello del sistema di giustizia americano. “Ci sono casi in cui il padre è la figura più adatta ad avere la custodia dei figli- precisa il regista-. Ma per una sorta di faziosità del sistema giudiziario non riceve poi la custodia del figlio, che viene affidato alla madre. Talvolta non ottieni l’affidamento per colpe che non sono tue. Magari non sei ricco abbastanza per permetterti gli avvocati migliori o non ti esprimi correttamente davanti al giudice. Volevo far vedere il lato tragico del sistema giudiziario”.

Cummings ci ha riflettuto un anno prima di trasformare questo corto in un lungo. Ne è nato questo bel film (vincitore del Gran Premio della Giuria al SXSW e a Deauville), che fa piangere e ridere allo stesso tempo e che vede protagonista un uomo “umano, complicato, onesto e un po’ simile ad Amleto perché parla tanto”. Presto lo potremo vedere anche qui in Italia (non al cinema purtroppo) e nel frattempo aspettiamo i prossimi film di questa giovane promessa: “Non ho mai studiato per diventare regista, attore o sceneggiatore. Non ho idea di come tutto questo sia stato possibile. Sono stato molto fortunato. In futuro voglio continuare a fare film che siano scomodi e divertenti. Il mio ultimo film The Beta Test (ndr. premiato all’ultimo festival di Berlino e codiretto con PJ McCabe) parla di un collasso delle agenzie che si trovano a Hollywood. Vorrei aiutare gli altri registi del panorama indipendente a sentirsi meno soli e inadeguati all’interno di un sistema che fa di tutto per reprimerci”.