“Abbiamo un motto a Lampedusa, un murales al molo recita: “Proteggi le persone e non i confini”. E’ una grande verità, i confini sono muri e i muri la storia ci insegna non hanno mai fermato nessuno: siamo tutti cittadini di questo mondo e abbiamo diritto di scegliere dove stare”. Parola di Pietro Bartolo, che dopo il pluripremiato Fuocoammare ispira un altro film, Nour, diretto da Maurizio Zaccaro e in cartellone al 37° Torino Film Festival (Festa Mobile).

Nel film liberamente tratto da Lacrime di sale di Pietro Bartolo e Lidia Tilotta, con la collaborazione di Giacomo Bartolo, e interpretato da Sergio Castellitto, Raffaella Rea e Linda Mresy, Nour ha dieci anni ed ha affrontato da sola il viaggio verso l’Europa attraverso il Mediterraneo: sopravvissuta al naufragio, è Pietro Bartolo, il medico dell’isola di Lampedusa, a prendersene cura e a cercarne la madre.

La produttrice di Fuocoammare e Nour Donatella Palermo con Pietro Bartolo

“Più che l’urgenza, abbiamo sentito il desiderio non di mettere in scena uno spin off di Fuocoammare, ma di inquadrare una figura esemplare di italiano, Pietro Bartolo, ma fuori dall’archetipo dell’eroe”, dice Zaccaro, che dedica il film – prossimamente in sala con Vision Distribution – alla memoria dell’amico e maestro Ermanno Olmi.

Avvicinandolo a La terra trema di Visconti per l’impiego sul set degli abitanti di Lampedusa tra “credibilità e autenticità, sul crinale tra vero e verosimile di manzoniana memoria”, il regista ha chiesto, ed è una chiave per l’intero film, a Castellitto di “non interpretare Pietro, bensì di evocarlo. Lampedusa è il primo posto dell’Europa visto da altra parte, l’ultimo da noi, non è dunque un’isola ma un posto molto particolare, e l’abbiamo messo in scena con onestà, per una storia universale”.

“Castellitto è un grande professionista, in alcune scene mi rivedo perfettamente”, interviene Bartolo, e unendo Nour a Fuocoammare spiega: “Ho avuto il privilegio di incontrare persone straordinarie, io da medico e uomo sentivo la responsabilità, del resto è una missione fare il medico, ma fa male vedere ancora gente che si volge dall’altra parte, e pensare che anche ieri c’è stato un naufragio”.

“Ho anche scritto due libri per raccontare queste storie, e mai l’avrei detto, io che avevo fatto solo ricette mediche”, prosegue Bartolo, che ora è un parlamentare europeo e dei trent’anni passati col camice sull’isola dice: “Quel molo non è la mia seconda, ma la prima casa”, per poi calibrare lo j’accuse: “Migranti economici, climatici, ultimamente persino flussi, non sanno più come chiamarli, ma sono persone, bambini, e ogni volta ho paura ad aprire quei sacchi, “speriamo che non ci sia un bambino”, mi dico sempre, ma spesso c’è. Come quello vestito di bianco e rosso che racconta anche il film: non ce l’ha fatta, e ogni notte lo sogno, è un incubo”.

Purtroppo, ricorrente: “Il Mediterraneo è un cimitero, ci sono già 40mila morti. Dobbiamo cambiare strategia: i giovani sono tutto, presente e futuro, ci devono riportare sulla strada che noi adulti abbiamo perso, quella dell'umanità, dei diritti umani. Aiutare, salvare una persona non è un atto eroico, ma un obbligo, se no siamo alla frutta. Sono persone, non numeri”.

Osservando come “siamo stati noi per primi ad andare a casa loro, e non ci hanno mai rifiutato”, Bartolo conclude amaro: “Qualcuno si meraviglia che anche i neri abbiano dei sogni”.