Gianni Amelio, quarto anno di direzione, e Torino fa 30.
Non credo ai compleanni, alla ritualità di un numero: per me 30, 29, 31 sono la stessa cosa. Ogni anno ci metto lo stesso spirito e impegno, e non perché c'è uno zero dopo il tre cambia qualcosa.
Allora parliamo di spirito.
Cercare di fare un festival appassionato, appassionante e utile: non capisco le manifestazioni che si danno il compito di mostrare film che il giorno dopo sono già in tutti i cinema, meglio che ci sia un'impronta di passaparola, l'impegno per chi non ha altra possibilità che un festival per farsi conoscere. Torino è l'unico con queste caratteristiche: in concorso abbiamo illustri sconosciuti che il giorno dopo hanno un distributore, la scoperta e il passaparola qui sono di casa.
La selezione 2012?
Molto forte, bella: non ci sono i film che trovi all'angolo della strada, li abbiamo scovati con le nostre mani nei posti giusti, con dei risultati, almeno, di sorpresa. Vedrete. E per gli italiani c'è un record: tre in concorso, approdati con criteri di scelta abbastanza coraggiosi e mai in predicato per le varie sezioni di Venezia o Roma. Sono venuti direttamente da noi, e conta molto: si sono proposti loro stessi, ben riconoscendo l'identità di Torino. E gli stranieri? Ci sono i Paesi tradizionalmente trascurati dai festival: l'India, che non è quella di Mira Nair, la Mongolia, la Turchia. E poi gli americani alternativi, l'esordio di Dustin Hoffman con Quartet, Anna Karenina e l'Inghilterra…
Arrivarci non è stato facile, almeno politicamente: Amelio, un calvario?
Un percorso golgotiano, sì, ma io mi sono sempre sentito bene. La mia è la posizione di chi non è attaccato a una  poltrona, al potere, anche perché caratterialmente vivo in modo sportivo le situazioni. E poi, non dimentichiamo, sono un regista prestato a un festival, e può essere una trappola dolcissima. E' molto bello far vedere film agli altri, ridiventare uno spettatore di professione, è un po' toccare il cielo con un dito. Sei quello che indica i film belli, e io quando ne vedo uno chiamo subito gli amici: “Andate a vederlo!”. Vorrei essere sempre il  primo a fare il passaparola, e dirigere Torino mi concede questo grande privilegio.
Come l'ha pagato?
Con un solo film in 5 anni, la cosa più delicata per un regista. Non ero libero, nel mentre ho fatto un film complicatissimo, ma da agosto a dicembre ero obbligatoriamente attaccato alla sedia di Torino: non ho mai delegato la scelta di un film, ho sempre messo la firma, nel bene e nel male. Ho visto tutto a tempo strapieno, e mi sono comportato con autolesionismo: avrei dovuto badare di più a me stesso, avrei dovuto fare film.
Ora ne ha in cantiere uno con Antonio Albanese.
L'intrepido, e spero di farlo al più presto, appena finisce Torino, il giorno dopo. Ha i toni della commedia, ma è sostanzialmente mio: non sono così presuntuoso da dire “divento Dino Risi, Monicelli, faccio sbellicare”, ma rispetto agli altri miei film ha un tono più leggero in superficie, e soprattutto l'adesione totale di un personaggio scritto da me e di un attore, Albanese, che ha una gamma espressiva enorme. In apparenza è leggero, ma dentro ha una grandissima profondità, e così spero il film.
Ritorniamo al Golgota: dopo la concorrenza sleale di Roma, i rumors di Gabriele Salvatores al suo posto.
Che dire, è una cosa molto italiana, e non riguarda solo i festival di cinema, anche all'Atac è la stessa cosa… Io posso dire che l'ho presa come l'anno scorso, quando i nomi usciti erano quelli di Wim Wenders, Pedro Almodovar… E, se ancora non bastasse, Martin Scorsese: ve lo immaginate che viene a dirigere Torino con la paga che prendo io, anzi, decurtata, perché ci sarà necessariamente un taglio, dato che ogni anno arrivano duecentomila euro in meno…
E' la politica, tristezza.
Questa allegra gestione mentale di un festival da parte della politica appartiene a una radicata abitudine che se non fosse drammatica sarebbe folkoristica: si sghignazza, ma c'è un fondo di italioticità che fa male… Però io dico che dovrebbero cambiare altre cose, non voglio farne una questione di cinema: è la politica in generale.
Che fare?
Dovremmo riflettere tutti, comportarci diversamente alle urne, scegliere meglio chi ci governa. L'altra sera spiegavo alla mia nipotina la differenza tra comune, provincia e regione: ha nove anni, non ha mai letto dei tagli, eppure, mi ha chiesto, “ma non se ne potrebbe eliminare qualcuna, è necessario proprio tutto?”.