(Cinematografo.it/Adnkronos) La mafia smitizzata, Cosa Nostra riletta al rovescio rispetto alla consueta letteratura cinematografica alla Good Fellas. Un mondo alternativo, parallelo allo Stato nel quale a qualcuno capita di nascere e di crescere e dal quale si dissocia dopo che ne vive la brutalità fine a se stessa. E' questo che mette in evidenza Il dolce e l'amaro di Andrea Porporati, secondo italiano in concorso alla 64a Mostra del Cinema di Venezia, dopo Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi e in attesa della L'ora di punta di Vincenzo Marra. Quello di Porporati, che del tema si è in passato occupato da sceneggiatore de La piovra, è prima ancora il racconto della evoluzione di un uomo, al centro della scena con il suo percorso interiore. Si tratta di Saro Scordia, interpretato da un convincente Luigi Lo Cascio, che guarda a Cosa Nostra come a qualcosa di importante, degna di rispetto e meritevole dell'aspirazione a farne parte.
I primi passi della sua vita nel mondo criminale sono fatti di rapine, richieste di pizzo, donne e soldi, il tutto sotto l'egida del "protettore", Gaetano Butera (Tony Gambino nel film). Il primo omicidio che Saro commette gli vale l'ingresso ufficiale, l'affiliazione alla mafia. I conti iniziano ben presto a non tornare. Innanzitutto c'è Ada, la donna che ama e lo ricambia, col volto di Donatella Finocchiaro. Non vuole però sposare un criminale e si allontana quindi dalla Sicilia per raggiungere Torino e iniziare a insegnare. Saro inizia a perdere determinazione e convinzione, comprende che i capi mafia non sono super uomini, ma farse grottesche. Il giovane, che vive il suo percorso di disillusione e allontanamento, intanto si è spostato e ha avuto due figli, ma è Ada la donna che continua ad amare. Centrale è anche la figura del giudice impersonato da Fabrizio Gifuni, un giovane cresciuto nello stesso quartiere, ma che ha compiuto scelte di vita opposte. Accetta il confronto con la giustizia, confessa, viene inserito in un programma di protezione e raggiunge infine Ada, iniziando una nuova vita con lei.
"Non volevamo raccontare la mafia - spiega il regista -, ma la vita di una persona, le sue scelte e le conseguenze che comportano". Numerose, nel film, le scene caratterizzate da un registro comico: "E' stato volutamente ricercato - chiarisce Porporati - non per ridicolizzare o fare violenza ai personaggi, ma perché da quel tipo di vita spesso scaturiscono situazioni dove il comico non è altro che la ridicolizzazione del tragico". Su tutti il caso della rapina in una banca del nord, che richiede l'intervento di un traduttore, perché il siciliano stretto dei malviventi, risulta incomprensibile anche se con la pistola alla mano.
Quella del protagonista, spiega ancora il regista è una scelta "che lo porta a confliggere con la natura umana". Da qui le contraddizioni che poi attanagliano il personaggio di Luigi Lo Cascio: "Saro crede di aderire al modello più giusto possibile. E' per questo disorientato e del tutto in balia di qualsiasi tipo di seduzione". "Più che un film sulla mafia - conclude l'attore - è quindi un film su un peronaggio. Un uomo qualunque, pur all'interno della mafia. Così l'identificazione da parte dello spettatore diventa più facile e immediata", chiarisce ancora il regista. La ricerca narrativa, specifica, affonda invece le radici nel cinema di Lattuada: "Sentivamo l'urgenza di recuperare lo spessore dei film italiani di una volta. Quelli degli ultimi anni non radiografano con chiarezza che cosa sia oggi l'Italia e chi siano gli italiani: vanno ancora scoperti. Abbiamo quindi seguito il percorso del personaggio, per vedere dove ci avrebbe portato". Un'ultima battuta, il regista la riserva infine alla polemica sulla crisi del cinema italiano: "Siamo l'unico Paese - osserva - in cui il cinema è sempre stato molto importante e avvertito nella coscienza di tutti. A un certo punto è però avvenuto un cambiamento tanto rapido e radicale, che gli autori hanno faticato a rappresentare". "Ora siamo invece in una fase di relativa stabilità - conclude -. E' tornata la voglia di ricominciare e raccontare l'Italia agli italiani, senza partito preso, ma con l'atteggiamento dei vecchi maestri del cinema. Il problema è adesso recuperare il rapporto col pubblico".