Il rischio che nella giuria di Controcampo si verificassero scenette alla Peppone e Don Camillo era alto. La perfida macchina organizzativa della Mostra aveva lavorato bene: seduti al tavolo dei giurati, l'una accanto all'altro, la giovane bandiera della cultura cinematografica di sinistra, Susanna Nicchiarelli, e il critico in abito talare Dario E. Viganò, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della Rivista del Cinematografo. La prima aveva debuttato l'anno scorso in regia vincendo proprio Controcampo Italiano: il film si chiamava Cosmonauta e metteva in scena l'educazione sentimentale di una giovane militante che, nell'incipt, scappava dalla prima comunione dicendo: "Io là non ci torno, sono comunista!". Il secondo ha invece raccolto il testimone della critica cattolica nel nostro paese, presiede un festival del cinema sensibile ai moti dello spirito (Tertio Millennio) e vanta una vasta produzione saggistica dedicata alla rappresentazione dei santi, della Chiesa e dei suoi ministri sul grande schermo.
"Non nego all'inizio una certa preoccupazione. - ammette la Nicchiarelli - Ci chiedevamo se il suo ruolo avrebbe influito sulla valutazione dei film". Com'è andata poi? "Ci siamo ricreduti, dimenticando persino fosse un prete. Certo, ogni tanto scappava una parolaccia e con lei l'imbarazzo. Ma lui non ce le ha fatte mai pesare". E va bene. A livello relazionale sarà pure prevalsa la logica della mitezza - come si addice a un servitore di Dio - ma nel momento della discussione sui film non può non aver pesato una tradizione culturale agli antipodi: "Macché - controbbatte subito la giurata "rossa" -. Mai un diverbio, un contrasto, un'incomprensione. Abbiamo adottato entrambi come criterio il cuore, l'emozione che i film ci regalavano". Anche sulla scelta del vincitore? "Soprattutto sulla scelta del vincitore", conclude la Nicchiarelli. E la replica di Viganò? Raccolta in confessionale, perciò secretata. Intanto però il ritorno di Camillo e Peppone può attendere.