“Un enorme abuso di potere: il film racconta questo, con un trattamento sobrio e austero, senza gore. E poi uno straordinario istinto di sopravvivenza, e il problema dell'identità: gli enormi sviluppi della scienza non hanno accesso all'identità, perché è qualcosa di intangibile, al di sopra dell'aspetto fisico e dei genitali”. Così Pedro Almodovar presenta La pelle che abito, nelle nostre sale da venerdì in 300 copie con Warner, dopo l'anteprima al festival di Cannes in concorso e in attesa di sapere se correrà per la Spagna verso gli Oscar. 
Protagonisti di questo thriller sociale con venature horror sono il chirurgo plastico Antonio Banderas e la sua creatura Elena Anaya, e poi, of course, lui, Almodovar: “Non mi sento onnipotente: un regista si prende l'autorità ma anche la responsabilità, se il film piace o se non piace”. Anche uno come lui, che – dice Banderas – “ha rotto le regole del gioco, esce dagli schemi del cinema spagnolo tradizionale. A 21 anni da Legami, non l'ho trovato cambiato, se non professionalmente: una forma più minimalista, concetti più limpidi, contenuti più profondi. Dopo 85 film, posso dirlo: solo con Pedro mi butto nel vuoto”.
Anche in un film difficile come questo: “Donne sull'orlo di una crisi di nervi e Volver - prosegue l'attore, alla sesta prova con Almodovar - piacciano al grande pubblico, ma è con La legge del desiderio, Legami! e La pelle che abito che Pedro si sporca le mani, ti costringe a riflettere e trova la sua grandezza”.
Tra i temi del film, la chirurgia plastica: “Il mio chirurgo forse si innamora dell'opera che ha creato, come se Leonardo fosse andato a letto con Mona Lisa”, scherza Banderas, e pure Almodovar: “Oggi non si può più dire che il volto è lo specchio dell'anima”. E nemmeno che La pelle che abito abbia avuto a priori delle esplicite fonti di ispirazione: “Solo mentre già giravamo sono usciti i fantasmi del cinema, da Frankenstein a La donna che visse due volte di Hitchcock, fino agli Occhi senza volto di Franju”, precisa il regista, mentre la Anaya ricorda la Gena Rowlands de La sera della prima.
Per concludere, uno sguardo al futuro: non del suo cinema, perché Almodovar si trincera dietro due progetti “mediaticamente troppo interessanti per parlarne ora”, ma dell'umanità. “La transgenesi porterà a esseri più perfetti: se la bioetica mette i paletti, l'unica speranza è che gli scienziati non siano malvagi, perché la scienza non si ferma di fronte a nulla. L'umanità cambierà: non so che nome prenderà, ma - vaticina Almodovar - sarà diversa”.