"Conoscevo la sua vicenda, il Nobel per la pace, la lotta per la democrazia, gli arresti domiciliari, ma non sapevo nulla della sua vita privata. Quando ho letto la sceneggiatura ho pianto per due ore: è una donna eccezionale, di appena 50 chili che per più di vent'anni ha tenuto testa a 300 mila soldati con la sola forza dell'amore per il suo Paese, per i suoi figli e per il marito”. Così Luc Besson descrive l' "orchidea d'acciaio" della Birmania, Aung San Suu Kyi, protagonista di The Lady, il suo ultimo lungometraggio, presentato al Festival di Roma, in sala dal 23 marzo con la neonata Good Films (promotrice della campagna di sensibilizzazione sui diritti umani “Send a message” (goodfilms.it/sendamessage). “Al giorno d'oggi - prosegue Besson -- siamo un po' carenti di simboli. Lei è un esempio per la società. Ho voluto fortemente questo progetto nonostante avessi un altro lavoro in corso, perché credo sia la storia di un'eroina”. Il film è il racconto epico della lotta non violenta di Aung San Suu Kyi (Michelle Yeoh), leader del partito democratico birmano, e della straordinaria storia d'amore con il marito Michael Aris (David Thewlis), accademico di Oxford e primo sostenitore della sua battaglia politica.
Non si sa molto sulla vita della leader birmana perché il paese da mezzo secolo è tenuto sotto scacco da una dittatura: “La prima volta che siamo stati in Birmania - racconta Besson - ci siamo resi conto che il popolo la chiamava “the lady” perché aveva paura di pronunciare il suo nome, non osavano, questo dimostra quanto è difficile reperire informazioni. Non esistono biografie su di lei: quando abbiamo cominciato a lavorare alla sceneggiatura era agli arresti domiciliari già da 11 anni, il marito era morto e i suoi amici in prigione. Abbiamo collaborato con i figli e la famiglia di Michael Aris. Anche “Amnesty International” e “Human right watch” ci hanno mandato un dossier di oltre mille pagine sulla violazione dei diritti umani in Birmania”. Non è stato semplice riportare gli avvenimenti in maniera fedele: “C'è una scena nel film in cui lei affronta i militari armati e so che è successo davvero, ho conosciuto due persone che avevano assistito, però i loro racconti non combaciavano. Così ho cercato su Google Earth il luogo in cui era successo, ma non ci sono immagini, così ho dovuto immaginare”. Le immagini della rivolta dei monaci buddisti però sono riprese in diretta e la ricostruzione della prigione è stata possibile grazie ai disegni dei prigionieri fornite da Amnesty International. “L'informazione - continua il regista - viene trasmessa oralmente, come si vede nel film”. Nonostante le enormi difficoltà Besson ha cercato di girare un film che fosse il più veritiero possibile: “Gli attori - racconta ancora Besson - li abbiamo trovati in un centro di accoglienza alla frontiera e nessuno aveva mai visto un macchina da presa. Il primo giorno di riprese è arrivata Michelle Yeoh vestita da Suu Kyi e c'è stato il panico, alcuni di loro si sono inginocchiati e hanno cominciato a piangere".
Molto materiale Besson e la sceneggiatrice Rebecca Frayn lo hanno avuto dai giornalisti: “Ci hanno fornito 200 ore di filmati in VHS - racconta Besson - che abbiamo usato per documentarci sui costumi, i modi di parlare, perché non si possono fare riprese in Birmania. Quando sono stato lì da turista, appena sceso dall'aereo dalle spie mi hanno pedinato ovunque. Solo cinque anni fa il visto per la Birmania durava un giorno”.
Il film è stato vietato in Birmania, ma ha battuto qualunque record di “pirataggio” e Luc Besson confessa di approvare la pirateria quando “serve a portare film del genere in quei paesi come Birmania, Corea del nord, Sudan, Yemen. Non capisco perché nelle nostre società che hanno tutto, non si spendano 4 euro per il cinema. Per me va bene il cinema gratuito se anche l'elettricità, l'acqua e il petrolio sono gratuiti". Impossibile quindi non fare un riferimento all'attualità e alla Francia, che quest'anno, come la Birmania, affronterà le elezioni. Besson appare sfiduciato nei confronti della politica del suo paese: “Nessuno parla di progetti a lungo termine - dice - sono solo offerte con scadenza. Io vorrei qualcuno che proponesse delle soluzioni per i miei figli e mi dica come sarà la Francia nei prossimi 10 anni". Il figlio minore di Suu Kyi, Kim, ha già visto il film, il più grande, Alex, vive negli Stati Uniti e Besson non lo ha mai incontrato. La Lady non lo ha ancora visto, ma “l'ultima volta che l'ho sentita - racconta Besson - mi ha detto che lo vedrà quando sarà abbastanza forte”. Forse dopo il primo di aprile, giorno delle elezioni. Secondo le speranze di Besson “sarà eletta e presto governerà il paese. E' l'unica in grado di unire la Birmania attraverso la democrazia e garantirle un livello economico migliore”.