"Non amo molto che si parli di ritratti a proposito di ciò che realizzo. Se facessi dei ritratti, procederei in un altro modo. Darei delle date, delle informazioni, delle prove": a parlare è André Sylvain Labarthe, il cui nome è spesso associato alle due serie Cinéastes de notre temps (1964-1972) e Cinéma de notre temps (dal 1980) ideate e realizzate con la moglie di André Bazin, Janine, per la televisione francese. La 40ª edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro ha dedicato al poliedrico e fertile regista francese (più di 600 film all'attivo) un omaggio che ha proposto alcune delle interviste realizzate ai grandi del cinema mondiale. Nati come prolungamento di quelli pubblicati sui Cahiers du Cinema, questi "non-ritratti" si propongono un'azione di ritorno dell'intervista sul cinema: da qui l'esigenza di affidare ad altri autori il compito di dialogare con i cineasti. È il caso di Le dinosaure et le bebe: dialogue en huit parties entre Fritz Lang et Jean-Luc Godard, che indaga il rapporto tra il maestro di M, il mostro di Dusseldorf e il "figlio" cinematografico. Un altro esempio è l'"installazione-intervista" realizzata con David Cronenberg, David Cronenberg: I Have To Make The World Be Flesh, in cui il regista canadese non distoglie lo sguardo dal monitor, sui cui scorre una sequenza del suo Shivers. Un percorso che ha avuto anche protagonisti italiani: in Nanni Moretti, Labarthe tallona in Vespa il regista di Caro diario, "pilotando" il primo episodio del film con cinque anni di anticipo. Rammarico, invece, ha espresso il cineasta francese per non avere potuto realizzare un'intervista completa a Michelangelo Antonioni, di cui era stato lo sdoganatore sui Cahiers: in La derniere sequence de Professione: reporter il regista nato a Terrasson nel 1931 filma Antonioni mentre spiega come ha realizzato la sequenza più celebre del suo cinema. Eloquente, il suo commento conclusivo: "Antonioni è per la settima arte quello che Beckett è per la letteratura".