“Le istituzioni italiane hanno paura della democrazia, si sceglie sempre un'altra strada: pur di evitare la democrazia, prendono decisioni che cercano di convincerci siano per il bene comune. Senza la trattativa sarebbe un paese diverso, migliore, e probabilmente avremmo ancora con noi Falcone e Borsellino”.
Parola di Sabina Guzzanti, che porta alla 71. Mostra di Venezia Fuori Concorso l'atteso e applaudito La trattativa, dedicato appunto alla trattativa Stato – mafia. Ma quale è la genesi del film, che arriverà nelle nostre sale il 2 ottobre con Bim? “Una lunghissima ricerca, tanto tempo a studiare e provare a scrivere diverse sceneggiature con chiavi diverse: poi mi sono ricordata del corto di Elio Petri con Gian Maria Volontè (Ipotesi, NdR), citato esplicitamente (“siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo”) per raccontare quel che si sa finora della trattativa. E' stata una svolta in scrittura, il meccanismo consente di passare in modo omogeneo da finzione al documentario: libertà creativa, umorismo, recitazione brechtiana, anche se è una parola che non si dovrebbe più usare. Raffaella Carrà mi darebbe una strigliata".
”Il lavoro è stato cominciato, interrotto più volte: ho pensato non si potesse fare, ma la conoscenza della materia aumentava, ho scoperto fonti e, grazie a Radio Radicale, ho avuto tutti i processi a disposizione:  ho potuto ascoltare tutte le testimonianze, perché non ho una formazione giudiziaria per fortuna”. E la regista prosegue: “Anche io ho attraversato momenti di depressione e paura, “me ne vado”, eccetera. Ma credo che lo scopo del film sia di mettere tutti in grado di capire che cosa sia la trattativa, dei fatti che hanno cambiato il corso della democrazia: se una larga fetta di italiani li conoscessero bene… L'idea generica è nemica di un'idea precisa: quali fasce di istituzioni, tuttora al comando, hanno preso queste decisioni? Da dove viene l'Italia che abbiamo sotto gli occhi, il cambiamento così rapido del Paese: questo film dà tutte le spiegazioni che servono”.
E Sabina precisa, a chi suggerisce il parallelo con Belluscone di Maresco, che “il mio non è un film su Berlusconi: sono molto diversi, il mio è più sullo Stato che sulla mafia”. Se durante la lavorazione non ha ricevuta “alcuna intimidazione”, ora la regista teme le polemiche? “No, purtroppo è un film abbastanza inattaccabile. Dal punto di vista dei contenuti, tutti i fatti sono realmente accaduti. Ma questo non vuol dire che si trovi un colpevole: non è mai accaduto qui, e probabilmente non accadrà neanche per la trattativa. In Italia siamo abituati ad aspettare i risultati del processo: almeno dal '92-'93, prima non se ne può parlare. Ma perché mai? Il processo serve solo per trovare i responsabili penali, ma l'opinione pubblica può parlarne, svincolarsi dal percorso processuale  e prenderci responsabilità che ci aspettano come cittadini. Lo diceva anche Borsellino: “Non è che se un politico viene assolto vuol dire che è innocente”, ma oggi in tv si sente ripetere l'opposto”.
Il film chiama anche in causa il presidente Napolitano, cui vengono addebitate pressioni su Pietro Grasso e la Cassazione: “Ogni parola del film è stata controllata 1670 volte, anche con l'aiuto del giornalista di Report Giorgio Mottola: abbiamo verificato tutto, e queste pressioni sono documentate”. Ancora su Napolitano: “Si è legato al processo sulla trattativa per sua decisione, con  interventi a gamba tesa e violenti sulla Procura di Palermo”.