"Elisabeth Hunter è un re Lear al femminile che costringe i suoi figli a espiare le proprie colpe". Lo dice senza mezzi termini Charlotte Rampling, parlando della protagonista di The Eye of the Storm, in concorso al festival, come di "una matriarca dal carattere forte, senza alcun fascino immediato ma che rivela un'indole difficile e senza inibizioni". Lei è una donna in punto di morte che cerca, in qualche modo, il perdono dei suoi figli, con i quali ha da sempre un rapporto più che conflittuale, "una madre ingombrante che vorrebbe insegnare loro a essere forti e che continua a difendere il diritto di una donna degli anni ‘70 di potersi comportare come un uomo, senza essere giudicata".
Il regista Fred Schepisi sa di dovere molto al romanzo da cui è tratto il film e sottolinea: "Molte delle idee espresse sono ricavate dal libro di Patrick White, in cui abbondano le introspezioni psicologiche che arricchiscono i personaggi". E continua: "Quello che mi ha colpito del romanzo è il suo umorismo feroce e tagliente che riflette le tensioni familiari, qui raccontate con grande efficacia".
Il film non è da meno, ma Schepisi assicura che non c'è nulla di autobiografico in quanto "è White che parla, in una certa misura, di sua madre e di se stesso", supportato dalla Rampling che confessa: "Elisabeth non sono io, ma c'è, dentro di me, una parte di lei".
Senza il timore di mostrarsi invecchiata sullo schermo l'attrice sostiene che "bisogna avere il coraggio di invecchiare, in quanto l'età è solo una fase naturale ed è un atto di coraggio anche mostrare l'invecchiamento, in quanto il compito dell'attore è quello di interpretare l'essere umano che non è necessariamente affascinante o giovane.”