Il giovane regista tedesco-afgano Burhan Qurbani (29), alla presentazione del sua pellicola debutto Shahada,in concorso alla Berlinale, ci ha tenuto subito a chiarire un punto: "Non é assolutamente un film religioso", bensí il racconto di vicende che spera gettino una luce su una gioventú ancora troppo poco conosciuta. I giovani di cui parla, sono la terza generazione di immigrati in Germania, che, solo nella capitale, raggiungono quota 300.000. È pur vero che Shahada, nei tre episodi felicemente tenuti insieme da un bel tessuto narrativo, racconta ad arte le vite di un pugno di ragazzi del sobborgo mussulmano di Neukölln, a Berlino. Ma Shahada é, soprattutto, e senza ombra di dubbio, una pellicola sulla religione. L'opera prima del promettente Qurbani indaga con intensitá la domanda cruciale su quali effetti concreti abbia la fede nella vita quotidiana degli adolescenti. Cioé quella zona grigia dai confini sempre piú liquidi, dove la fede scolora nel fanatismo, l'Islam in islamismo e dove é sempre piú arduo capire quale sia il posto dei sentimenti, quando le leggi di un Paese laico devono essere applicate.Si avverte, é vero, un certo sapore da Scuola di Cinema, e il ventinovenne Burhan, infatti, si é appena laureato all'Accademia Superiore di Cinematografia dello Stato federale del Baden Wüttenberg. Ma non si puó negare che Shahada sia il figlio naturale di un Festival che da sempre, e con orgoglio, si dichiara politicamente impegnato. "Dopo anni di preparazione", confida il cineasta, "non pensavo che girare una storia del genere sarebbe stata un'esperienza tanto sconvolgente". La pasta di Shahada é fatta di sangue, sudore, lacrime, e piatti rotti in abbondanza. "Il risultato finale é realismo puro", dichiara soddisfatto Burhan Qurbani. Sono loro, i giovani sconosciuti interpreti di Shahada, a farti sentire sotto la pelle passione, fanatismo e sensi di colpa. Un grande debutto.