"Avrei voluto girare questo film in un altro clima, perché quello che è successo durante le riprese è molto grave: è vero, mi è stata lasciata la possibilità di portare a termine il lavoro, ma avrei preferito farlo in un paese dove al posto di tante e inutili polemiche avesse prevalso la dialettica". Non nasconde l'amarezza, Renato De Maria, durante la presentazione alla stampa del tanto chiacchierato La prima linea, "il film di cui tutti hanno parlato ma che nessuno ha ancora visto" (come recita il claim promozionale) e "liberamente ispirato" al libro "Miccia corta" di Sergio Segio, al centro di discussioni e polemiche (ieri la più recente, con la decisione da parte di Occhipinti della Lucky Red di rifiutare in ogni caso il finanziamento pubblico) che, ormai ad una settimana dall'uscita in sala (il 20 novembre, 150 copie), sono addirittura diventate tripartisan: dal Ministero dei Beni Culturali alle associazioni delle vittime per il terrorismo, fino all'evidente "delusione" del protagonista assoluto, Sergio Segio, pubblicata sulla prefazione della nuova edizione di "Miccia corta" (DeriveApprodi editore), tornato in libreria in questi giorni. "Per parte mia - scrive il fondatore di 'Prima linea', interpretato sullo schermo da Riccardo Scamarcio - ho ricavato il giudizio che il film, assai liberamente ispirato a questo libro, ne tradisce una caratteristica fondamentale: quella che riassume l'albero genealogico, i riferimenti ideologici, culturali, le famiglie di provenienza, le motivazioni, le aspirazioni, per quanto infine pervertite dalle pratiche. Con il rischio che si tratteggi un Romanzo criminale, anziché fornire necessari elementi di lettura, comprensione e contestualizzazione su quello che è stato, comunque, un fenomeno dalla radice politica e sociale". Partendo dalla fine, con Segio in prigione che ammette di fronte allo spettatore le proprie responsabilità e afferma che "eravamo convinti di aver ragione, e invece avevamo torto", La prima linea "vuole mettere in risalto l'elevato grado di separazione dal mondo vissuto da Segio e Susanna Ronconi - spiega ancora il regista Renato De Maria - due innamorati che verso la fine degli anni '70, poco più che ventenni, avrebbero potuto scegliere di vivere la loro storia in un modo e invece hanno vissuto in clandestinità, distaccati dalla realtà, in un crescendo di violenza, omicidi, convinti di rispondere colpo su colpo nello scontro con lo Stato, finendo per osservare il mondo attraverso pareti, finestre, mai effettivamente in contatto con il mondo reale: comprendo la disillusione di Segio, dopo aver visto il film, perché probabilmente avrebbe voluto che raccontassimo cronologicamente tutto il percorso di "Prima linea", la formazione, lo sviluppo, ma quello che interessava a noi era insistere sul tono crepuscolare di un cammino giunto ormai alla fine. E partendo da lì, provare ad arrivare all'inizio. Quando si decide di realizzare un film si stabilisce un punto di vista, ed è normale che possa non convergere con quello di chi, in realtà, avrebbe voluto veder raccontata la sua storia nel modo che riteneva più consono".
E' l'assenza "del loro grande sogno rivoluzionario, ammantato di romanticismo" - secondo Giovanna Mezzogiorno, che interpreta Susanna Ronconi - l'altro vero motivo per cui il film non è stato amato dai due "referenti principali": "E' un film crudo, secco, e probabilmente sono rimasti colpiti da questa durezza", ribadisce l'attrice che, a proposito del suo lavoro, racconta: "Volevo a tutti i costi che Susanna Ronconi fosse sullo schermo quanto più possibile vicina a quella che ho incontrato io, una donna determinata, a suo modo spietata, incapace di relazionarsi con il mondo esterno. E proprio questo, credo, sia stato il motivo alla base del loro fallimento: la costruzione di un muro, di una trincea invalicabile, sorretta solamente dall'ideologia". Che, come ricorda lo sceneggiatore Sandro Petraglia, "ha reso possibile, come qualsiasi altra forma di integralismo, una dissociazione tale per cui si arrivava ad uccidere pensando di neutralizzare la 'funzione', dimenticandosi dell'essere umano".
Dall'omicidio del giudice Alessandrini nel '79 fino all'ultima vittima, un passante rimasto sepolto dalle macerie dopo l'esplosione per far evadere la Ronconi e altre tre compagne dal carcere di Rovigo nel 1982, La prima linea - già durante la lavorazione - ha dovuto far fronte al dolore e alla rabbia dei parenti delle vittime: "Ma chi sostiene che siamo stati costretti a far leggere preventivamente la sceneggiatura alle associazioni delle vittime - assicurano Petraglia, De Maria e Occhipinti - afferma il falso. E non c'è stata nessuna modifica, o taglio, atti a compiacere la volontà di alcuno", come invece sostiene lo stesso Segio nella prefazione di cui si è parlato in precedenza. Infine spazio ai coproduttori belgi del film, i fratelli cineasti Jean-Pierre e Luc Dardenne: "La rinuncia di Occhipinti al finanziamento? E' un atto di fede - dice Jean-Pierre - una scelta più unica che rara di un produttore che crede il film sia più forte di ogni polemica".