La felicità? E'  un termine economico, non la cerchiamo realmente ma ci viene imposta dalle aziende produttrici". Lo ha detto Maurizio Zaccaro a margine della presentazione a Torino (Festa Mobile) del suo La felicità umana, documentario costato "tra anni mezzo di lavoro in giro per il mondo. L'occasione di rincontrare vecchi amici, non certo uomini potenti", racconta il regista. Che difende la sua scelta di non prendere in considerazione l'esperienza interiore della felicità (che pure c'è nella parte dedicata a una suora) perché "Oggi la felicità è il fattore chiave del mercato. Ti dicono che per essere felice devi avere questo e quello. Pensate a quanti programmi sulla cucina ci sono in tv, a che servono se non a dirti che se vuoi essere felice devi mangiare bene? L'economista Serge Latouche parla di decrescita felice, che non vuol dire vivere di ghiande ma di iniziare a rinunciare alle cose superflue".

Un approccio sociale dunque, che sogna il Pif (Prodotto interno della felicità) al posto del Pil come indicatore del benessere di un popolo, un approccio che si è fatto strada man mano, incontro dopo incontro, "nella consapevolezza che nel mondo ci sono quelli che ambiscono tanto alla felicità e quelli che invece nemmeno possono concepirla. Avete presente quante tendopoli esistono?". E ancora: "Siamo partiti da una riflessione: oggi tutto viaggia liberamente, dal denaro alle merci, tranne le persone. Libero scambio vuol dire libera volpe in libero pollaio". Zaccaro punta il dito contro quel circolo vizioso vivi, produci, consuma, muori: "Ci disperiamo, lottiamo, sudiamo per poi spegnerci nel silenzio, rimbambiti e soli, magari dentro case di riposo dal nome involontariamente beffardo, come Villa Felice".

La sua personale ricetta per vivere felici? "Relazioni sociali, famiglia, amici". Come quelli che lo hanno accompagnato durante questo lungo tragitto, da Latouche a André Comte-Sponville, da Ariane Mnouchkine a Sergio Castellitto passando per Ermanno Olmi e Bruno Bozzetto.