“Il mio è un film non per dimenticare, ma per non dimenticare”. Così Enrico Vanzina parla del suo  primo film da regista Lockdown all’italiana, in uscita nelle sale il 15 ottobre distribuito in più di 350 copie da Medusa, che racconta in chiave comica la clausura da pandemia.

Il canovaccio è semplice: l’8 marzo del 2020, proprio il giorno in cui tutta Italia viene dichiarata zona rossa, due coppie, Paola Minaccioni-Ezio Greggio e Martina Stella-Ricky Memphis, si lasciano per via di reciproci tradimenti, ma sono costrette a rimanere insieme sotto lo stesso tetto.

“Quando è scattato il lockdown mi sono ritrovato in una Roma deserta, spettrale e magnifica- racconta Vanzina-. E ho pensato che era un’occasione irripetibile per provare a fare una commedia all’italiana su questo argomento: personaggi che vivono sotto una cappa drammatica e che vanno alla ricerca della felicità”.

Le critiche non sono mancate, soprattutto sui social. Da quelle sulla locandina che vede i quattro protagonisti affacciati sul balcone, chi  in mutande e chi con il lato b in bella mostra,  ai  molti che hanno sottolineato che non si scherza su una tragedia che ha fatto 35mila morti e continua a fare vittime.

“Ho le spalle larghe e ne ho viste di tutti i colori - commenta-. Però quando leggi che ci sono tante persone che ti odiano è brutto. Sono anche un po’ scaramantico. Ed è orribile sentirsi dire che sei un mostro o che speculi sul dolore. Spero che avranno la decenza di scusarsi. Non l’ho assolutamente presa alla leggera questa situazione. Per fortuna  i grandi giornali italiani hanno un po’ rimesso a posto le cose. Ho avuto un fratello che è morto da poco e ci ho sofferto molto per cui non si può proprio dire che io sia uno che scherzi con la morte. Queste critiche mi hanno fatto schifo e malissimo”.

A tal proposito: suo fratello Carlo, avrebbe approvato questo film? “Proprio stamattina gliel’ho chiesto. Esiste il silenzio assenso e penso che sarebbe stato d’accordo”, risponde ridendo.

Girato in pochissimo tempo, costato poco (“meno di un milione di euro”) e con tutte le regole e i protocolli Covd del caso (molte letture della sceneggiatura sono state fatte via Skype), Lockdown all’italiana  vede protagonisti dei “personaggi mostri” alle prese con la quarantena. A cominciare da Paola Minaccioni (“un’attrice raffinata che può fare di tutto, vera erede di Franca Valeri”) e Martina Stella (“la più brava di tutti, fa un ruolo da cattiva con una grazia pazzesca, ha qualcosa di ingenuo nella sua malvagità”) per proseguire con Ezio Greggio (avvocato colto che  suona il piano, scelto proprio perché non era romano) e Ricky Memphis (qui un tassinaro di periferia e cornuto).

“E’ un film cattivo, molto onesto e semplice”, prosegue  Vanzina , che poi racconta: “Mi sono avvicinato alla regia di questo film in punta di piedi. Nel 1977 mi avevano offerto di dirigere Febbre da Cavallo, ma avevo detto di no. Non mi sembrava il caso, avendo un papà e un fratello registi. Ma ho sempre pensato che la sceneggiatura è più importante della regia e questo era un film di sceneggiatura. Per cui ho deciso di farlo e mi sono ispirato a Perfetti Sconosciuti e Carnage, film chiusi dentro poco spazio. Era una storia che mi permetteva di stare dietro la macchina da presa in maniera invisibile. Una storia che potrebbe essere ambientata ovunque, a Parigi o a Rio de Janeiro, a New York o anche in Germania. Potrebbero essere fatti benissimo dei remake ”.

Dopo Natale a cinque stelle e Sotto il sole di Riccione, due film fatti entrambi per Netflix, questa volta Enrico Vanzina sceglie di uscire al cinema, in piena pandemia. Una scelta coraggiosa? “Ho fatto la boxe e credo di avere un po’ di coraggio. Ora sotto data siamo un po’ in ansia naturalmente”, commenta.

E Giampaolo Letta, ad di Medusa, aggiunge: “E’ un film per la ripartenza e per la fiducia. Vogliamo dare agli spettatori la possibilità di vedere una commedia divertente, ma al tempo stesso rispettosa, al cinema, che racconta quello che abbiamo vissuto. E’ il primo film girato durante questi mesi che esce nelle sale. E ci tengo a ribadire che i cinema sono un luogo sicuro”. Infine Vanzina conclude: “Non possono toglierci la libertà di andare al cinema perché chiudere le sale significa chiudere il cervello a miliardi di persone” .