Buenos Aires è un'inferno-paradiso di paranoia e confusione nell'affascinante debutto del giovanissimo regista e autore argentino Benjamin Naishtat.
History of Fear (il titolo però è inappropriato), presentato in concorso alla Berlinale, è una cronaca delle (non) qualità che caratterizzano la borghesia urbana argentina. Ma è un tableaux che per estensione si adatta a tutto il mondo. E non solo occidentale.
Lo sguardo ipnotizzante di History of Fear è fisso sul presente di qualunque sobborgo occidentale. Naishtat prende in prestito alcune pennellate scure del cinema catastrofico, per esplorare con una lente surreale la debole costruzione di un pezzo di società che si nega l'esistenza del resto del mondo al di fuori del perimetro del cordone di sicurezza in cui vive. Una comunità ghettizzata e isolata che potrebbe essere uscita dall'immaginazione di Michael Haneke. Atmosfera rarefatta e densa di sinistre presenze à la David Lynch.
“Una storia sulla realtà nascosta sotto la superficie delle cose”, così il regista in conferenza stampa. Il film è stato accolto da critiche ottime, o pessime. Il regista racconta che il suo film è nato dopo aver visto un'installazione del 1985 del celebre video artist Americano Bruce Nauman. Quel lavoro si chiamava Good Boy, Bad Boy e rappresentava un gruppo di persone filmate che recitavano la stessa frase "I am a good boy, I am a bad boy" in un loop continuo che finisce per diventare un caos perfetto.
History of Fear fa un effetto simile. Un film fatto di tanti pezzi frammentari che è difficilissimo stringere in un insieme soddisfacente. Il climax però è il cuore pulsante della pellicola, e funziona. Se l'illusione della tranquillità di questa società separata sfiora il mondo esterno, quello che segue è uno shock di valori.
L'attrice argentina Mara Bestelli che interpreta la protagonista Mariana è una rivelazione.
Una satira sociale ai margini della metropoli che racconta delle manie e paranoie di ognuno di noi. “È un film molto sudamericano – chiosa il regista - ma proiettato in tutto il mondo dove i ceti abbienti (che si assottigliano) delle megalopoli vivono sempre più isolati, dietro mura e telecamere. Una storia assai più realista delle apparenze”.