"Carrie: ha senso rifare un film già girato benissimo?", si chiede Libero del 9 gennaio.
Ebbene sì: l'horror è il genere di maggiore resa sul mercato Usa. Pensiamo a The Conjuring e La madre, che nel 2013 hanno intascato 10 volte quello che hanno speso. Il ricorso al remake poi, consente di abbattere i costi di creatività e promozione.
Rassegniamoci, i rifacimenti faranno pure storcere il naso ai puristi ma di sicuro fanno strabuzzare gli occhi alle major. Qualche cifra: Non aprite quella porta (2003), costo 9,5 mln $, score 107, di cui 80 solo nel proprio territorio (circa il 75,3% del totale); The Amityville Horror (2005), costo 19 mln $ e score 108 (il 60% solo negli States); Halloween di Rob Zombie (2007), costo mln $, incasso superiore agli 80 (73% in casa); Venerdì 13 (2009), costo 19 mln $, incasso 91 (71,1% domestico); A Nightmare on Elm Street (2010), costo 35 mln $, score 115 mln $ (54, 5% domestico); La casa (2013), costo 17 mln $, score 97,5 (55% in casa).
In proporzione meno si spende e più si ricava, con il filone che fatica solo fuori dai confini domestici. Tutto sommato a fare eccezione è stata proprio Carrie di Kimberly Pierce: ad oggi ha dalla sua quasi 85 mln $ incassati a livello globale, di cui "appena" il 41,6% è stato fatto in casa (35.266 mln $) e il 58,4% fuori (€ 49.524.059). La regola ha bisogno sempre di un'eccezione per essere confermata. E la qualità? Finché i numeri tengono, passa in secondo piano. La domanda semmai è un'altra: “Carrie: che senso ha rivederlo?” La risposta però deve darla il pubblico.