La Mostra di Venezia dà i numeri, e quelli della 75esima edizione arrivata al giro di boa sono tutti largamente positivi: gli ingressi effettivi in sala sono a ieri, domenica 2 settembre, 77.700 rispetto ai 67mila dell’anno scorso e i 58mila del 2016; i biglietti venduti sono aumentati 9%, gli ingressi degli accreditati levitati del 18%. Ancora, le presenze al padiglione della Realtà Virtuale (VR) al Lazzaretto sono 5900, rispetto alle 4600 del 2017, mentre a visitare la mostra storica all’Hotel Des Bains sono già state 13.500 persone. Il direttore Alberto Barbera gongola: “Tutte le proiezioni del weekend sono andate esaurite”, e aggiunge con qualche rammarico “alle due proiezioni di ieri di Orizzonti sono rimasti fuori 250 spettatori”. Ma il dato che meglio fotografa un’edizione sin qui di incontrovertibile successo riguarda i giovani: “Gli accrediti destinati loro e messi disponibili via Internet sono stati 1.100, con un incremento del 35% sull’anno scorso”.

Nel tradizionale pranzo con la stampa di metà festival, viene chiesto a Barbera di due potenziali imbarazzi: la presenza in Concorso di Roma del messicano Alfonso Cuaron, amico di lunga data del presidente di giuria e connazionale Guillermo Del Toro; il possibile Leone d’Oro a un film Netflix. Su Roma: “Ci siamo posti il problema, ma non avevamo ragioni per dubitare della correttezza di Del Toro e delle altre otto persone in giuria, che come ha ricordato egli stesso non sarebbero disposte a farsi imporre un premio dal proprio presidente. Dunque, sarebbe stato ingiusto togliere a Cuaron la possibilità di concorrere”. Su Netflix: “Né orgoglio né imbarazzo, non l’abbiamo bandita per delle ragioni che sarebbero antistoriche, sicché diventa un player al pari di tutti gli altri produttori, che ha una politica di investimento nel cinema di qualità”.

Tra le criticità, l’embargo per recensioni e commenti social imposto alla stampa fino all’inizio della proiezione ufficiale: “E’ stato accettato dalla maggior parte dei giornalisti, con solo piccole fughe in avanti. L’abbiamo chiesto con gentilezza e con soddisfazione registriamo come sia stato recepito da tutti i soggetti in gioco. Non abbiamo voluto mettere in discussione una tradizione consolidata (le anticipate stampa, NdR) come ha fatto Cannes, bensì abbiamo cercato un punto di equilibrio tra le esigenze dei giornalisti e le richieste di produzioni e autori”. Ma questo embargo non danneggia forse il volume complessivo delle interazioni social sulla Mostra, tra tweet e post? “E’ l’unica soluzione, e l’abbiamo chiesta con cortesia”, taglia corto il presidente della Biennale Paolo Baratta.

Sul livello del concorso, ovvero il gradimento critico, Barbera rileva: “Mai una media di stellette così alta, sempre superiore a 3 su 5, con pochissime eccezioni, ovvero The Mountain di Rick Alverson, che pure non ha avuto una totalità di critiche negative”.

Infine, sull’abbattimento del gender gap nel festival e nella selezione – la Mostra ha recepito pochi giorni fa l’obiettivo 50/50 by 2020 – Baratta sottolinea come “nessun festival ha sottoscritto un accordo sulle quote rose, né qualcuno l’ha mai chiesto, e qui alla Biennale c’è in gioco la necessità di adattare le parole alle realtà istituzionali”. Non solo, il presidente evidenzia come la Mostra sia stata l’unica a dichiarare le submission, le opere ricevute, di cui solo il 21% firmate da donne: “Ho proposto un seminario annuale su questi problemi, nonché una ricerca puntuale sui curricula, nei limiti della protezione dei dati personali”. E sulle quote scherza: “In Biennale il 75% degli impiegati sono donne, idem i dirigenti, sarebbe una follia”.

Barbera, da parte sua, rintuzza le critiche piovute sul festival per mano del regista francese Jacques Audiard, in lizza per il Leone con The Sisters Brothers, secondo cui “non è concepibile ci sia una sola donna regista in concorso, l'uguaglianza si conta, la giustizia si applica: “Le sue argomentazioni sono assai deboli, dice che da 25 anni vede in giro per festival le stesse facce maschili, beh, anche io vedo sempre la sua. E’ una presa di posizione ridicola, schematica e riduttiva di fronte a un problema complesso e reale: le soluzioni semplici o semplicistiche non servono a niente, e un festival non può risolvere la questione equità”.