Sono le contraddizioni e lo stupore a guidarci nell'esperienza visiva della Roma firmata Theo Eshetu, opera audiovisiva presentata al Festival nel contesto de L'Altro Cinema | Extra, sezione "Per Corso", dedicata al recentemente scomparsa Corso Salani. Una lunga soggettiva immersa nel punto di vista di un outsider che della città eterna - più di ogni altro aspetto - coglie l'inafferrabilità. L'epigrafe, che fa da preludio ai titoli di testa, punta per prima sulla conflittualità latente messa in luce dalla pellicola, citando le parole di Jung: “Non ho mai visitato Roma per paura dell'effetto che avrebbe fatto sulla mia coscienza”. Theo Eshetu, invece, la città capitolina non l'ha solo visitata. L'ha amata e capita, fino in fondo. Al punto da renderle omaggio. A metà tra il documentario e la video-arte, il lavoro dell'artista originario di Londra, è un collage di immagini raccolte, in dieci anni di lavoro, dalle piazze e dai vicoli del centro, a cui si uniscono sequenze di film celebri e momenti di finzione - costruita ad hoc – come la coreografia dei due danzatori nella chiesa sconsacrata. A fare da scheletro, la colonna sonora di Alvin Curran, creata dall'intreccio di voci e rumori, rubati alla strada. Lasciando le periferie lontano dagli occhi, ci si addentra lì dove la monumentalità “crea un vuoto chiassoso, in cui convivono il sacro ed il profano, il volgare ed il poetico”, spiega il regista. Il quale confessa di trarre ispirazione da una frase di Fellini: “Nonostante la natura imperiale, papale e fascista, Roma è una città africana”. Questo lo spunto: la contaminazione ed il caos che la dominano. Artisti di strada e giostre per bambini, fontane che zampillano e sculture che si stagliano contro il cielo, artigiani e tifosi di calcio, queste le suggestioni ed i volti che affollano lo schermo. Strutturalmente impostato come un trittico - alla Chelsea Girls di Andy Warhol - il film si compone di tre differenti sequenze proiettate contemporaneamente. Tre città colte da altrettanti punti di vista, l'una eco delle altre. “Ho scelto un tale linguaggio per rappresentare la confusione e la follia della città attraverso la pluralità di sguardi”, dice Eshestu, svelando la trama sotterranea intessuta nel testo. “Alla base di tutto esiste il conflitto tra Cultura e Potere – prosegue l'artista – un conflitto che la prima è destinata a perdere. Questo film è il suo requiem”.