Tre soli film in quasi quarant'anni di carriera, eppure tanto è bastato al regista spagnolo Víctor Erice per meritarsi il titolo di maggiore cineasta del cinema spagnolo. Celebrato da critici, studiosi e teorici della Settima Arte ancor più dei ben noti Pedro Almódovar e Bigas Luna, il regista è ospite della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, che quest'anno gli rende omaggio con una retrospettiva che comprende non solo l'opera di esordio, il bellissimo Lo spirito dell'alveare e i lungometraggi El sur e El sol del membrillo, ma anche l'ultimo lavoro, Alumbramiento, episodio del film collettivo Ten Minutes Older del 2002. Erice è stato protagonista, questa mattina, anche di un'appassionata lezione di cinema: di fronte a una sala gremita ha parlato del cinema di ieri e di oggi, delle contaminazioni sempre più forti con gli altri mezzi dell'audiovisivo, del potere della televisione, dell'"invasione" Usa e soprattutto dell'amore per il suo mestiere, nato grazie a opere come Fino all'ultimo respiro di Godard, Hiroshima mon amour di Resnais, Roma città aperta di Roberto Rossellini e Ladri di biciclette di De Sica. "Dopo aver visto questi film ho capito che il lavoro del regista per me non sarebbe più stata un'impresa innocente" dice. Erice ha poi tracciato un percorso attraverso le tappe fondamentali della storia del cinema e dei suoi protagonisti (Bergman, Welles, Antonioni, Pasolini, Truffaut, Fassbinder) e sull'influenza che hanno esercitato nella sua carriera. "Io ho vissuto il cinema come arte popolare, come memoria visiva del XX secolo, e ho vissuto la perdita di questa condizione con molto dolore" dice mentre ricorda, in opposizione all'abitudine della Hollywood classica di rappresentare la realtà per come si vorrebbe che fosse ("esemplare"), la capacità del cinema moderno di farsi specchio della realtà e della sua crudeltà. "Dopo Rossellini - spiega il regista spagnolo - lo spettatore diventa testimone del godimento e della sofferenza altrui". Oggi il cinema cosiddetto contemporaneo, spiega ancora Erice, subisce il potere della tevisione e ne viene soppiantato: "Il cinema è lo stare insieme, il sogno comune nel buio della sala, una festa, il perdersi e il ritrovarsi negli occhi degli altri, un dispositivo che non si limita a riprodurre e divulgare ma nasce per creare". Il regista rivendica quindi la sua superiorità rispetto al piccolo schermo, del tutto incapace di "contribuire alla costituzione di una memoria collettiva". La resposanbilità è soprattutto dei governi che - dice - non si rendono conto che le cinematografie europee sono in grave pericolo e dovrebbero educare i giovani alla visione filmica fin dall'infanzia, attraverso l'inserimento della storia del cinema tra le materie scolastiche "Non si può lasciare l'educazione visiva dei giovani in mano alla tv". "Io sono un cineasta - conclude -. Il cinema è per me una forma di destino e di conoscenza, un mezzo di comunicazione, una scrittura. C'è cinema dove c'è il viaggio autentico, l'esperienza e l'incontro. Scrivere, come diceva Marguerite Duras, e si potrebbe ora dire filmare, significa realizzare film di insistenze, di sguardi introspettivi per poi abbandonarli e non finirli mai".