“La mia commozione ricevendo la Palma a Cannes? Per tre motivi: è il premio più grande che un attore possa auspicare di avere, ci sono grandissimi attori che non l’hanno mai avuto; non ho mai vinto premi fino ad allora, record candidature a Cesar; è un momento commovente, sei in sala con riunito il mondo del cinema, è una cerimonia in mondovisione, tutto il mondo ti guarda. Il premio arriva avanti con gli anni, da giovane corri il rischio di perdere la testa, invece io non lo aspettavo nemmeno più”.

Parola di Vincent Lindon, che porta nelle nostre sale, dal 29 ottobre in 40 copie targate Academy Two, La legge del mercato (La loi du marché) di Stephane Brizé, per cui ha vinto il premio migliore attore all’ultimo festival di Cannes.

Lindon interpreta Thierry, 51 anni, disoccupato da 20 mesi, che vive con 500 euro di sussidio, dividendosi tra colloqui e trattative, sia con la banca che per vendere la casetta mobile al mare.

“Con Brizé, un regista amico, avevamo voglia realizzare un film che costasse poco, ovvero rispecchiasse le persone di cui andavamo a parlare, che faticano ad arrivare a fine mese. Abbiamo corrisposto una paga minima sindacale a tutti, e noi abbiamo rinunciato al cachet: il film è stato realizzato in 16 giorni. Il regista voleva lavorare con dei non professionisti, per dare verità a film, scegliendo persone con lo stesso mestiere sia nel film che nella vita. Viceversa, io ho dimenticato il mio statuto di attore, ho dimenticato chi sono, cosa che non mi riesce difficile, e mi sono messo alla loro altezza. Per questo era necessario che non arrivassi con l’auto nera e gli occhiali a specchio, perché queste persone come tutti noi sono dei bambini, e se uno si pone in un certo modo è difficile per loro credergli. Il film è riuscito perché il nostro stile di vita, il mio e di Stephan, è simile al loro: io non ho autista né segretaria, mi va benissimo andare in macchina con altre persone, non ho alcuna predisposizione per il lusso. Così questi attori non professionisti si sono lasciati andare, mangiavamo tutti insieme in sala pranzo, abbiamo creato un gruppo”.

Sulla propria attitudine, attoriale e ancor prima esistenziale, Lindon rivela: “Non sono un attore che recita film dopo film, io guardo le persone, non passa mai settimana in cui non mi trovo in un bar davanti a un bicchiere a osservare la gente, come si muove. Colgo molto rapidamente postura e gesta persone, quello di cui siamo fatti: non credo alla filosofia”. In particolare, aggiunge l’attore, per il ruolo di Thierry gli è servita l’esperienza nei supermarket: “Io vado a fare la spesa, non incarico nessuno, e ho osservato gli addetti alla sicurezza: l’uso del walkie-talkie orizzontale, le mani intrecciate dietro la schiena… Certo, sarebbe diverso interpretare Leonardo o Rodin, dovrei imparare come scolpire…”.

Sul tema del film, ovvero le difficoltà dell’attuale mondo del lavoro, Lindon prosegue: “Una tragicità senza confine: i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, il problema è universale. Questo film ha risvegliato la coscienza di classe in Francia per sei minuti circa: se i politici hanno bisogno di un film così per risvegliare la propria coscienza, beh, allora noi non abbiamo bisogno di questi politici”. E rincara la dose: “Il ministro del Lavoro in Francia non sa come funzionano le cose in un ufficio di collocamento, quello dell’istruzione che cosa sia una classe con 50 bambini: dovrebbero vivere ogni tre mesi come le persone di cui si dovrebbero fare carico, al contrario, il ministro del Lavoro ha visto sullo schermo tematiche che dovrebbe conoscere bene…”.

Sul mestiere d’attore, “io lo amo perché entro negli ambienti, mi relaziono alle persone: Thierry sono io, per Welcome sono stato a Calais con gli immigrati… Servirebbero più esponenti della società civile con i politici per cambiare le cose”. Ancora, “come diceva mio padre, ‘se questo film può cambiare anche una sola persona su pianeta, allora era necessario che venisse fatto’. Credo che il cinema, la cultura possano cambiare le persone, aiutarle a capire la fantasia sfumata che già hanno: la musica può alleviare le sofferenze, la stessa cosa vale per la pittura o il cinema. Cambiare qualcuno, risvegliare le coscienze: i programmi di varietà in tv lavorano sul nostro inconscio e l’indomani siamo più aggressivi, il contrario succede con i film di qualità”. “Le persone sono intatte di per sé, possono essere educate  alle cose belle, si può cambiare la gente, fare in modo che sviluppi gusti differenti, ma se la costringiamo a guardare la merda in tv non li svilupperanno mai. Viceversa, se un bambino cresce con Antonioni, Visconti, Lubitsch, Renoir e King Vidor, poi non sarà più in grado di vedere merda, come chi è a dieta poi non torna a mangiare junk food… E’ un problema di istruzione nazionale”.

Tornando al suo Thierry, Lindon conclude: “Non è facile rimanere senza lavoro, ma lui ha rettitudine, solidità, è pieno di dignità. Thierry mi piacerebbe averlo come fratello, e mi piacerebbe se un giorno mio figlio o mia figlia fossero come lui”.