"E' un romanzo di formazione corale: tutti i personaggi inseguono un sogno e si scontrano con la realtà. Ma lo fanno senza perdere mai il gusto per la risata": così parlò il critico Ivan Cotroneo a proposito della Kryptonite nella borsa (dal 4 novembre al cinema con Lucky Red) di cui è anche scrittore (il film è tratto dal suo romanzo omonimo), sceneggiatore (con Monica Rametta e Ludovica Rampoldi) e regista (all'esordio dietro la macchina da presa). Insomma, più "suo" di così non potrebbe essere il film, che è anche il quarto e ultimo titolo italiano in concorso al festival di Roma: "Il mondo della finzione somiglia molto al mondo che ho conosciuto da bambino - prosegue Cotroneo - e la Napoli che racconto è quella della mia infanzia, una città piena di vita, fascino e mistero, lontana dall'immagine trasmessa oggi dai media. E le esperienze borderline che il piccolo Peppino vive nel film non sono poi così diverse da quelle che ho conosciuto io da piccolo, quando i miei tre giovanissimi zii mi portavano fuori con loro".

Dice borderline, intende fricchettone: siamo all'inizio degli anni '70 e il vento della psichedelia, la voglia di liberare i costumi, emancipare la donna e seminare Figli dei Fiori, tocca persino una roccaforte del Sudtradizionalista e familista: Napoli. Tutto questo passa dallo sguardo miope e trasognato di Peppino Sansone, 9 anni e una carriera da sfigato davanti. A scuola è oggetto di vessazioni, a casa è il brutto anatroccolo della famiglia fin dalla nascita, nell'intimo un campione d'immaginazione: con la fantasia riporta in vita l'ei fu Gennaro, il cugino un po' toccato che si credeva Superman (un "Superman napoletano", come lo definisce il piccolo Luigi Catani aka Peppino). Alter-ego di Peppino, Gennaro/Superman è insieme il mentore e la coscienza identitaria del bambino: "E' una figura chiave del film - spiega Cotroneo - perché rappresenta l'accesso al mondo della fantasia di Peppino e il riconoscimento prima, l'accetazione poi, della propria diversità".

Nella Kryptonite nella borsa si delineano altri percorsi di vita accanto a quello di Peppino: ci sono i suoi due zii più giovani (Cristiana Capotondi e Libero De Rienzo), che rappresentano gli "alternativi" della famiglia, l'avanguardia fricchettona di Napoli; la storia genitoriale, con la madre (Valeria Golino) che, una volta scoperto che il marito (Luca Zingaretti) ha l'amante, cade prima in depressione e poi tra le braccia di un poco deontologico psicanalista (interpretato da Fabrizio Gifuni); c'è l'amica della madre (Monica Nappo) che porta Peppino al mare pure quando piove perché deve trovare un uomo da sposare; ci sono tante altre piccole storie che si potrebbero raccontare - la maestra di italiano di Peppino con il vizio della "bacchetta", lo zio super-intelligente che dopo cinque anni di università non ha ancora dato un esame ("E' il primo e ci tengo a fare bella figura", spiegherà al nipote), i nonni che garantiscono sulla tenuta del nucleo familiare e si disperano per i colpi di testa dei figli - e che il film può solo brevemente accennare: "Era una sceneggiatura ricca, piena di dettagli e di verità. L'ideale per un attore", confessa Luca Zingaretti, in una parte inedita per lui, rischiosa e perciò stimolante "perché rischiare è il dovere di un attore". Valeria Golino ritrova invece qualche affinità tra il suo personaggio e quello già interpretato in Respiro: "Entrambe sono segnate dalla marginalizzazione, si fanno da parte rispetto a una realtà che non vogliono accettare". Sempre la Golino su un altro tipo di marginalità - quella del cinema italiano rispetto al panorama internazionale - dice: "Più facciamo film locali più saremo internazionali: quando cerchiamo di somigliare agli altri sbagliamo". Tutti hanno qualcosa da dire, qualcuno da ringraziare. La Capotondi il costumista "per quegli abiti meravigliosi che mi hanno fatto le gambe più lunghe di quanto non le abbia in realtà"; Libero De Rienzo rivela invece che la sua personale kriptonite "è l'omologazione"; Gifuni confessa di avere accettato la parte dello "psicanalista che non ne azzecca una, per liberarmi di Basaglia e dall'alta opinione che gli psichiatri si erano fatti di me dopo quel ruolo"; il piccolo Catani invece una sola cosa vuole dire: "Se mi sarebbe piaciuto vivere in quella Napoli lì? Si, moltissimo". Perché?: "Perché...perché...Non lo so perché. Mi sarebbe piaciuto e basta".