"Non c'è bisogno di tanto sangue: la tv, e non solo, ci propina un'efferatezza che diventa catartica di fronte alla banalità del male quotidiano". Così Carlo Mazzacurati, che porta in concorso alla Festa di Roma e domani in 100 sale, distribuito in 100 copie da 01 Distribution, La giusta distanza, noir ambientato nel profondo Nordest. Ma quella di Nordest non è definzione amata dal regista: "Si chiama Veneto, ha una sua storia e una sua riconoscibilità. Spesso viene dipinto negativamente, come la terra dell'egoismo, piuttosto credo sia infelice, e inquieto. Il razzismo non è solo in Veneto, è dappertutto, ma è un fenomeno molto più complesso di quanto non appaia sui giornali e in tv". "Mi è indispensabile un luogo - prosegue Mazzacurati - per avere un riferiemnto da cui partire per raccontare una storia, ma non lo documento: devo viverci per sentirne l'umore, i cambiamenti e, in questo caso, l'inquietudine sotto la calma apparente". "Ognuno - precisa - racconta il mondo che conosce, ma spera di poter parlare anche ad altri, lontani. D'altronde, la provincia è un luogo esteso, che si assomiglia in Italia come in America". Film di coppie, la maestra in trasferta Mara (Valentina Lodovini) e il meccanico tunisino Hassan (Ahmed Hafiene), il diciottenne apprendista giornalista Giovanni (Giovanni Capovilla) e il suo capo Bencivegna (Fabrizio Bentivoglio), La giusta distanza, prodotto da Fandango e RaiCinema, "nasce - dice il regista - da una sensazione emotiva, col rischio di essere fraintesi. Il male che inquadro è un male banale, lontano dalle efferatezze che mediaticamente vengono serializzate da tv, giornali e fiction: noi percorriamo una strada diversa". "Non c'è stata preparazione - dice la Lodovini - sono arrivata sul set poco prima del ciak, l'incontro con Ahmed è stato molto spontaneo: Carlo ci ha lasciato carta bianca per improvvisare". Sulla stessa lunghezza d'onda Hafiene: "Ho fatto il meccanico, prima a Tunisi e poi a Padova: questa è stata la mia preparazione. Con Valentina si è creato un rapporto sincero e generoso: la macchina da presa non perdona chi simula. E sono contento di essere in un film italiano: il vostro cinema ha un'enorme influenza anche in Africa settentrionale". Per Bentivoglio, "con Giovanni Capovilla c'è stata reciproca curiosità e voglia di scoprirci sul set. La giusta distanza di cui parla il mio Bencivegna è solo teorica, scopriremo che l'unico modo di raccontare è entrare dentro al fatto con anima e corpo". "Ho utilizzato la non conoscenza di Fabrizio - gli fa eco il debuttante Capovilla - per dare autenticità al nostro rapporto finzionale. Mantendo la giusta distanza si rischia di sbagliare, è necessario andare oltre. Non ci si può fermare ai pregiudizi razziali, alla presunta colpevolezza". A Mazzacurati le ultime battute: "Non riesco mai a trovare una persona cattiva fino in fondo: il personaggio di Giuseppe Battiston (un arricchito che "ci prova" con tutte, ndr) mi genera profondissima tristezza, si impossessa al meglio di quanto il nostro tempo offre, ma in realtà ha profondo malessere e solitudine".