"E' una dichiarazione di amore e rabbia nei confronti del mio Paese. D'amore perché è impossibile non amare l'Italia. Di rabbia perché questo è anche un Paese che penalizza molto il coraggio di osare e la fantasia, che in fondo sono sempre stati il nostro leit-motiv culturale". Alessandro D'Alatri parla in anteprima in un'intervista esclusiva alla Rivista del Cinematografo del suo nuovo film, La febbre, che esce nelle sale il 25 marzo e nel quale è tornato a dirigere Fabio Volo, a tre anni dal successo di Casomai. "E' in assoluto il più bello che ho fatto, la mia opera più matura in termini autoriali, di contenuti e di sensibilità. Me lo ha ispirato il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi" dice il regista al suo quinto film. "Durante un incontro al Quirinale con i candidati ai David di Donatello, il Capo dello Stato fece un discorso molto bello sulla fantasia, sul coraggio, sull'avere fiducia nelle proprie potenzialità - racconta D'Alatri -. Parole che mi sono rimaste dentro". Sceneggiato dallo stesso regista con Gennaro Nunziante  e Domenico Starnone e prodotto da Rai Cinema, La febbre si compone di tante storie, anche se prende le mosse dalla vicenda di Mario, un geometra trentenne con ambizioni imprenditoriali, che sacrifica le proprie aspirazioni, in cambio di un posto di lavoro sicuro come impiegato nel comune della città in cui vive. "Col tempo ci siamo trasformati in un popolo di ragionieri e nel nome del 'tengo famiglia' ci siamo congelati, mandiamo giù tanti rospi, facciamo finta di niente e che tutto vada bene". Ma La febbre non è un film di denuncia. "Non amo chi urla contro qualcosa, ma chi urla a favore di qualcosa. E questo è La febbre, un grido affinché cambi qualcosa. Se il Paese è fermo e non si muove nessuno io dico: 'Muoviamoci! Diamoci da fare'. In Italia si sono fatti milioni di scioperi per difendere delle rivendicazioni sindacali, ma non si è mai fatto uno sciopero per difendere la qualità del lavoro. Io vorrei fare uno sciopero, anche solo di un minuto, per restituire dignità al lavoro, ma sembra che questa cosa non stia a cuore né ai sindacati, né al governo, né agli imprenditori". D'Alatri spiega anche il perché del titolo La febbre: ''Per me è qualcosa di positivo. Ti fa crescere, mi dicevamo da bambino. E io la vedo così. Ma sono tante le febbri che si vedono nel film, compresa quella che ti prende quando sei innamorato. E nel film racconto anche una bellissima storia d'amore". Quanto a Fabio Volo, "tornare a lavorare con lui è stata un'esigenza - dice il regista -. Fabio è un attore straordinario e in questo film supera se stesso". Dopo il successo di Casomai cosa si aspetta da La febbre? "Spero di non deludere il pubblico perché gli ho fatto un'altra proposta coraggiosa".

L'intervista completa sul numero di marzo della Rivista del Cinematografo