(Cinematografo.it/Adnkronos) - "Questa è una favola, una parabola un po' azzardata, da cui viene fuori il titolo, che serve per dare un pugno nello stomaco, per suscitare rabbia". Così il regista Gianni Amelio parla del film L'intrepido, oggi in concorso a Venezia e da domani nelle sale. Un film, interpretato da Antonio Albanese, che veste i panni di un uomo rimasto senza lavoro che diventa 'rimpiazzo' di mestiere, sostituisce cioè chiunque debba assentarsi dal proprio impiego.
Sulla critica che si è spaccata dopo la proiezione stampa, con applausi ma anche con tanti 'buuuu', Amelio dice: "Credo che forse si stia perdendo una grande risorsa in noi tutti: l'ironia. Chi non ha capito che il film non è un film realistico o addirittura neorealistico, non ha capito nulla".
"Io credo che questo film sia un pugno nello stomaco proprio bei confronti di chi si rassegna", ribadisce il regista, convinto che oggi gli italiani "dovrebbero unirsi proprio per dare un 'cazzotto' a qualcuno oppure sarà difficile cambiare le cose". Dopo la reazione contrastata del pubblico di giornalisti, critici ed accreditati della Mostra nella proiezione del mattino, Amelio viene accolto da molti applausi nella sala delle conferenze stampa al Palazzo del Casinò del Lido: "Un regista non sa mai fino a che punto il film venga colto o non colto dal pubblico ma lo spettatore è libero di cogliere quel che vuole ed anzi un regista fa i film anche per restare sorpreso dalle reazioni di chi vede o intravede nella sua opera cose che lui stesso non aveva pensato di comunicare", dice Amelio.
"Il produttore (Carlo degli Esposti della Palomar, ndr) dice che questo film - aggiunge Amelio - è come una nuvola: mentre lo guardi cambia forma. Forse ha ragione. All'inizio delle riprese l'ho definito una commedia ma ora in tanti saranno pronti a smentirmi, anche se si ride in diversi momenti di questo film. C'è però pure chi si commuove e versa qualche lacrima". E se Antonio Albanese definisce il personaggio affidatogli da Amelio il più "trasgressivo" della sua carriera, il regista ammette di avere scritto la storia di Antonio Pane "di getto, sul corpo e l'anima di questo attore che amo molto e con il quale da tempo avevo voglia di lavorare. Ho provato a scrivere un soggetto 'su misura' ma non troppo - prosegue Amelio - che mi facesse competere con il suo talento scoprendone qualche lato nuovo, scommettendo su delle sorprese. E accanto a lui ho voluto due giovani ancora sconosciuti, un ragazzo e una ragazza di vent'anni che regalassero un po' della loro innocenza agli altri protagonisti".
Si tratta di Gabriele Rendina, nel film il figlio di Antonio, Ivo, che suona molto bene il sax ma ha anche molta paura, e di Livia Rossi, nel film Lucia, una ragazza inquieta e in fuga che instaura un rapporto particolare con Antonio. A chi gli chiede se abbia scelto un finale consolatorio, Amelio risponde infine ammettendo: "Io ho bisogno di essere consolato. E non amo quelle situazioni che mi lasciano l'amaro in bocca. Anche quando ho fatto film molto più drammatici di questo alla fine c'era sempre qualche spiraglio di luce. Qui la luce a mio avviso si intravede durante tutto il film grazie alla positività del personaggio di Antonio".