Gli americani scoprono al cinema la classe operaia con Made in Dagenham (in Italia dal 3 dicembre con il titolo We Want Sex, distribuito da Lucky Red) ma le major continuano ad essere scettiche sui contenuti sociali poco appetibili per il mercato. La stranezza, retorica per la verità, è che per vedere un film con contenuti di lotta sociale e salariale gli americani devono aspettare un film inglese. Se si escludono, infatti, alcuni film americani del secolo scorso, dove il cinema entra in fabbrica, quali Norma Rae di Martin Ritt e il relativamente recente Erin Brockovich, che ha legato il suo successo commerciale probabilmente alla presenza di Julia Roberts, gli investitori e produttori hollywoodiani non ritengono efficaci simili contenuti al fine del raggiungimento della più vasta platea internazionale e del business. Sia per un atteggiamento sociale consolidato, legato al sogno americano del self-made-man che impedisce il concepimento di una classe lavoratrice statica dove il destino dei padri condiziona quello dei figli, sia per una convinzione psicologica non estranea allo stile di vita negli USA, i produttori e dirigenti americani ritengono che il film di successo non possa che essere quello di evasione. Quello della fuga dalla dura e spesso grigia realtà quotidiana, ovvero della favola, dove i più universali ma profondi desideri di riscatto e di potenza dell'essere umano trovano ampia soddisfazione. Solo la potenza di un mondo fantastico, a sentire gli addetti ai lavori, può suscitare l'interesse e la spinta a muoversi da casa.
Al massimo l'attuale cinematografia americana - quella più tradizionale, non quella indipendente dove c'è più libertà di scrivere e pensare - può tentare l'operazione d'ibridazione di stile, dove accanto a qualche storia, di fondo o sottofondo, della bassa classe lavoratrice ci sono i classici elementi americani del thriller, del genio, del crimine patrimoniale, (come The Town di Ben Affleck). Per non parlare dei tradizionali super eroi, dei maghi o degli incontinenti di sesso. Certo, la storia di Rita O'Grady, leader carismatica delle 187 lavoratrici addette alla sezione tessile della Ford a Dagenham, che decide nel 1968 di scioperare fino al blocco della produzione per la rivendicazione di pari trattamento salariale, rimanda ad una società sperequata e sostanzialmente patriarcale, che solo a primo acchito può immaginarsi lontana. Almeno a livello subliminale, possiamo invece riscontrare ancora attuali quei sentimenti di voglia di progresso e di giustizia distributiva che difficilmente anche un americano medio, nella colossale crisi economica che ci riguarda, può ritenere lontano da sé e dalla sua vita sempre più dura. Ma questa è un'altra storia e, forse, un altro film.