La bicicletta verde sta girando. Prima a Venezia (sezione Orizzonti), poi a Torino (Film Lab), tra qualche giorno a Roma (sarà l'apertura di Tertio Millennio Film Fest, il 4 dicembre, sala Trevi). Il 6 dicembre approderà in 15 delle nostre sale (ma l'Academy 2 spera di triplicarne le copie in una settimana, dovesse esserci richiesta da parte del pubblico) e non solo: i diritti di circuitazione sono già stati venduti in Islanda, Belgio, Svezia, Regno Unito, Francia, solo per dire dell'Europa. Non mancano i motivi per sorridere ad Haifaa Al Mansour, prima regista donna dell'Arabia Saudita. Del resto, l'essere riuscita a realizzare un lungometraggio nel paese in cui alle donne non è permesso nemmeno di andare in bicicletta era di per sè la madre di tutte le soddisfazioni. Ne sono arrivate altre invece e adesso è lecito sperare anche di più: "In Arabia Saudita il film non è stato ancora visto ma mi auguro non abbia problemi di censura. E' vero, non esistono sale, ma dalla nostra parte c'è una società di produzione che sta lavorando alacremente perché il film (la Razor Film, ndr) abbia passaggi televisivi e un'adeguata distribuzione homevideo. Il mercato dei DVD da noi è molto florido". La bicicletta verde vanta il patrocinio di Amnesty International e accanto alla regista, nella presentazione alla stampa avvenuta oggi a Roma, siede Riccardo Nour, portavoce di Amnesty per l'Italia. Eppure Haifaa Al Mansour è lontana dal clichè dell'artista battagliera e politicamente impegnata. L'attenzione internazionale non le ha dato alla testa e le sue parole sono improntate al dialogo più che alla polemica: "Mi sono mossa dentro le regole, con tutti i permessi del caso - dichiara - evitando atteggiamenti di sfida nei confronti del sistema. Ritengo che il compito di noi artisti sia quello di lavorare dentro una cultura senza forzature. Cercare di portare la gente dalla nostra parte, senza radicalizzarci. Al cinema il pubblico chiede prima di tutto di essere divertito".
Magari non sarà divertente come una commedia, ma La bicicletta verde sa essere lieve pur nella serietà del tema. La protagonista, Wadjda è una bambina di 10 anni che vive alla periferia di Riyadh. Nonostante viva in un mondo tradizionalista, Wadjda è intraprendente e decisa a superare i limiti imposti dalla sua cultura. Dopo una lite con il suo amico Abdullah, un ragazzo del quartiere con cui non potrebbe giocare, Wadjda vede in vendita una bella bicicletta verde; con quella sì che batterebbe in gara Abdullah! Sua madre, però, non le permette di acquistarla temendo le possibili ripercussioni in una società che considera le biciclette pericolose per la virtù di una ragazza. Wadjda decide quindi di trovare da sola il denaro necessario: parteciperà a un concorso a premi organizzato dalla scuola sulla recitazione dei versetti del Corano.
"Grazie alla rete le ragazze saudite oggi hanno molte più opportunità di mettersi in contatto con il mondo di quanto non ne avessi io - racconta Haifa -. Permangono le chiusure culturali. Ad esempio i genitori di Waad Mohammed, la protagonista, mi hanno confidato tempo fa di volere per la loro figlia un mestiere più rispettabile di quello dell'attrice". Eppure ci sono segnali che fanno ben sperare: "L'Arabia Saudita è un paese che sta cambiando, seppur lentamente. Lo dimostra la presenza di due atlete del nostro paese alle ultime olimpiadi. Per quanto riguarda la rinascita cinematografica del mondo arabo, io ci credo. C'è parecchio fermento in giro, e donne come Nadine Labaki sono la bandiera di questo rinnovamento". Cresciuta in un piccolo paesino in una casa con undici fratelli, Haifaa Al Mansour deve la sua formazione cinematografica al padre "e ai dvd che portava spesso a casa. Non erano titoli di spessore, ma blockbuster americani, prodotti di Bollywood, film egiziani. Solo in seguito, quando ho deciso d'intraprendere seriamente questa strada ho voluto vedere i capolavori del cinema. Non posso dimenticare l'impatto del neorealismo italiano e di un film come Ladri di biciclette sul mio background. Mi colpiva la forza del vostro paese, così desideroso di vita nonostante fosse ancora in mezzo alle macerie della guerra". E' quello stesso desiderio che si legge nei suoi occhi, ma che non le impedisce di chiuderli di fronte a una realtà ancora tutta da aggiustare: "Ho camminato a piedi per le strade dell'Arabia Saudita molto più durante le riprese di questo film che nel resto della mia vita. Spesso noi donne dobbiamo spostarci da una parte all'altra del paese accompagnate da autisti. Non ci mancano né le macchine né le patenti. Semplicemente non guidiamo. Come per tante altre cose non è un divieto sancito dalla costituzione a impedircelo ma un retaggio della tradizione. La nostra cultura è fortemente conservatrice e il suo cuore ancora tribale".