Gran Bretagna. Un futuro indeterminato governato dalla paura e dal sospetto. A detenere il potere è un regime totalitario, che ha fatto piazza pulita di emarginati, neri ed omosessuali per condurre degli esperimenti batteriologici. La televisione parla d'altro, però. Distorce le notizie e copre la violenza a cui ricorre il governo per legittimare la sua politica repressiva. A gettare scompiglio è un vendicatore mascherato che, per restituire la libertà alla popolazione, dissemina la città di bombe, pronto a farsi saltare in aria con tutto il parlamento. Queste le dirompenti premesse di V for Vendetta, fantasy politico e visionario con Natalie Portman e Hugo Weaving, presentato oggi fuori concorso al festival di Berlino. Alle spalle del film, sceneggiato dai creatori di Matrix Larry e Andy Wachowski e diretto da John McTeigue, è il celebre fumetto-dark ideato negli anni '80 dagli inglesi Alan Moore e David Lloyd. L'attualità delle tematiche, sottolineata da numerosi riferimenti che accompagnano il film, promette già di sollevare polemiche.
A confermarlo è la stessa Natalie Portman, nella storia una giovane salvata dal misterioso "V" e che poi si ritrova a spalleggiarlo nel suo piano sovversivo. "Nonostante si tratti di un fantasy di ambientazione futuristica i richiami alla realtà sono evidenti. Più che riferirsi a un contesto specifico, il film affronta però questioni universali come il diritto di ribellarsi alla tirannia e la legittimità o meno del ricorso alla violenza". Tematiche con cui, viste le sue origini israeliane, la Portman dice di essersi confrontata da sempre: "Le mie origini hanno pesato molto nella scelta del ruolo. Il terrorismo e l'uso politico della violenza sono questioni che mi riguardano molto da vicino. Nonostante siano interrogativi che mi pongo da una vita, non sono però ancora riuscita a trovare una risposta".
Questa, secondo la Portman, non è però neanche l'ambizione del film: "V for Vendetta è sicuramente una storia che farà discutere - dice -. Il suo scopo non è però quello di presentare una verità, quanto piuttosto di indurre alla riflessione. Gli interrogativi che solleva sono delicatissimi e di portata quasi filosofica. Esiste una differenza tra uccidere un oppressore e una persona qualunque? Qual è il limite tra difesa dei propri diritti e la violazione di quelli altrui? Come stabilire la legittimità della violenza?". Emblematico, dice, il caso della guerra in Iraq: "Da pacifista quale mi considero, direi che l'unica violenza accettabile sia quella finalizzata all'autodifesa. Anche in questo caso, però, la discriminante è arbitraria e quanto accaduto di recente rimette tutto in discussione. Gli Stati Uniti continuano a parlare di minaccia per giustificare la loro politica, ma è davvero così?".
D'accordo nel sottolineare delicatezza e profondità delle questioni affrontate è Hugo Weaving. Noto al pubblico di Matrix come uno dei cattivi della trilogia, l'attore australiano appare questa volta sullo schermo coperto dalla maschera del vendicatore 'V'. "Eroe per la libertà o kamikaze? Una simile semplificazione è molto pericolosa - dice -, perché presuppone l'accettazione di alcune premesse con cui ci stanno anestetizzando. Lo stesso terrorismo è un concetto di cui la politica ormai abusa, per vendere le sue scelte e impedirci di pensare autonomamente". Molto più interessanti, invece, sono secondo Weaving le motivazioni interiori che spingono "V" a intraprendere la sua lotta: "E' un uomo profondamente sofferente e tormentato. Una vittima dell'oppressione governativa, che però non si rassegna a soccombere e nel suo dramma personale trova anzi la forza per reagire, in nome di tutta la popolazione". Nonostante l'idea di recitare in maschera abbia spaventato molti, per Weaving si è invece trattato di una sfida esaltante: "Non poter fare affidamento sul volto - racconta -, mi ha costretto a concentrarmi sul resto e a veicolare l'espressione con la voce e la fisicità del movimento". I contenuti che esprime il personaggio e lo spessore della sua lotta per la libertà, dice, sono poi talmente importanti da oscurare del tutto l'aspetto: "Credo anzi - conclude - che la sua passionalità e la sua sofferenza vengano esaltati da questa scelta".