La scacchiera e il labirinto: le due facce della guerra secondo Stanley Kubrick. "Questi due modelli funzionano per il cinema di guerra in generale, e pure per la letteratura: da un lato, la scacchiera, l'occhio oggettivo del De bello gallico di Cesare e del narratore ottocentesco; dall'altro, il labirinto, immagine canonizzata nel Fabrizio Del Dongo della Certosa di Parma a Waterloo", dice Giaime Alonge, professore di Storia del cinema all'Università di Torino e autore del saggio Cinema e guerra (Utet, 2001).
"La prima opzione è quella del comandante in capo: mosse e contromosse, geometrie su una carta geografica, un'opzione in cui gli eventi bellici, pur brutali, hanno razionalità, mentre nella prospettiva del fante, quella della prima linea, ogni ipotesi logica salta. E' una dualità che attraversa tutta la storia della settima arte, ma che in Kubrick - afferma Alonge - assume pregnanza particolare: ne fa l'oggetto stesso del suo cinema, a partire dallo scarto irriducibile tra i generali e i soldati sul campo di Orizzonti di gloria. Due paesaggi visivi e sonori inconciliabili: da un lato, le soggettive dei generali senza il boato terrificante dell'artiglieria tedesca, dall'altro, l'attacco nonsense al Formicaio".
Se le immagini della scacchiera e del labirinto, che ritorna pure nella villa di Eyes Wide Shut, sono esplicitamente ricavate dalla filmografia di Kubrick, "tutto il suo cinema - dice Alonge - è bellico, nella misura in cui ragiona sulla violenza e sul contenimento della violenza della società novecentesca, che però spesso si inceppa e si rivolta contro di sé: vedi Palla di lardo in Full Metal Jacket e il congegno Fine di mondo nel Dottor Stranamore".
Si può dunque parlare di anticipazione della guerra contemporanea per Kubrick? "Non so, il suo cinema è profondamente radicato nella storia del XX secolo e Kubrick muore all'alba del nuovo, ma indubbiamente da Lolita in poi i suoi film hanno segnato la cultura di massa contemporanea: tutti conoscono battute di Shining e Arancia meccanica e nei tg per parlare della guerra in Vietnam si fanno vedere Apocalypse Now e il sergente Hartman".
Rimane comunque il fatto che Kubrick si confronta con una guerra oggi superata: "FMJ è il racconto bellico del ‘900 per antonomasia con dei giovani borghesi forzatamente trasformati in soldati: oggi la leva obbligatoria non esiste più, anche se probabilmente avrebbe scongiurato la guerra in Iraq, dove sono andati solo i figli dei poveracci". Se prima dell'introduzione - con le guerre napoleoniche - del servizio militare obbligatorio non esisteva il problema del reinserimento dei reduci cui il cinema ha dedicato un filone ad hoc, viceversa, il richiamo alle armi spiega il conflitto tra il colonnello Dax e l'establishment militare, e non solo: la leva è tradizione del racconto bellico del ‘900, da I migliori anni della nostra vita a FMJ.
Nondimeno, Kubrick sa guardare oltre il XX secolo, con "campi di battaglia caotici, entropici, in cui le coordinate spaziali saltano e il nemico è sostanzialmente invisibile: se in Barry Lindon le battaglie sono geometriche e a viso aperto, la città e la ragazza-cecchino di Full Metal Jacket e il Formicaio inquadrato sempre in campo lungo, come fosse la fortezza del Deserto dei tartari, di Orizzonti di gloria sono sintomatici delle contemporanee guerre a bassa intensità, dall'Iraq a Gaza fino a Valzer con Bashir, dove il nemico non lo vedono quasi mai".
Al contrario, l'11 settembre Kubrick non l'ha preconizzato: "Per lui, la guerra è ancora tra Stati, e quella al terrore un'espressione anomala. Di certo, il 9/11 è un evento capitale, e Kubrick era estremamente interessato alla politica internazionale: avrebbe potuto farlo un film sulle "operazioni di polizia" post 11 settembre, ma i suoi tempi divenuti così lenti dopo Shining e la sua fredda prospettiva storico-filosofica paiono ostacoli quasi insormontabili. Senza considerare che la velocità della comunicazione, e del cinema, contemporaneo nel trattare l'Iraq l'avrebbero sicuramente spiazzato".
Ma in realtà, conclude Alonge, "il film di Kubrick sull'11 settembre, come dice mia moglie, l'abbiamo già visto: all'insediamento di Barack Obama, con Dick Cheney sulla sedia a rotelle come il Dr. Stranamore…".