"Non sapevo nulla del massacro di Katyn. Quando ho ricevuto il copione, mia madre me lo ha letto, e mi ha preparato a questo orrore". Parola della piccola Wiktoria Gasiewska, protagonista di Katyn del maestro polacco Andrzej Wajda, in cartellone fuori concorso al 26° Torino Film Festival e a fine gennaio 2009 in circa 60 sale con Movimento Film.
22.000 ufficiali dell'esercito polacco sterminati dalla polizia politica di Stalin, l'NKVD, nella primavera del 1940 e seppelliti in fosse comuni nelle foreste di Katyn, Tver e Kharkov. L'armata tedesca scoprì queste fosse nell'aprile del 1943, ma il governo sovietico negò le accuse, sostenendo che i polacchi fossero stati giustiziati dai tedeschi nell'agosto del 1941, fino al 1990, quando Eltsin dichiarò ufficialmente che quanto accaduto era stato ordinato da Stalin.
Questo che è uno dei massacri più taciuti e controversi della Seconda Guerra Mondiale è al centro di Katyn, dramma storico già presentato fuori concorso all'ultima Berlinale e candidato dalla Polonia quale miglior film straniero agli Academy Awards 2008. Ma come è stato possibile nascondere il massacro per così tanto tempo? "Tutti sapevano che cosa era successo davvero, ma non se ne poteva parlare. Ricordo che al mio esame di maturità nel 1978 – dice Jarek Milkolajewski, direttore dell'Istituto Polacco di Cultura in Italia - non si poteva menzionare il massacro di Katyn. Al cimitero si sapeva di una tomba collettiva, e tutti ci mettevano segretamente una fiaccola. Per anni la verità è stata vietata e la tragedia si è duplicata: da un lato c'era il dramma di chi era stato ucciso, dall'altro, quello dei familiari vittime della menzogna". "Tutte le famiglie polacche – prosegue Milkolajewski – hanno un morto a Katyn, è una tragedia che ci ha toccati tutti. Wajda ha fatto Katyn per informare: Ha sempre fatto film di testimonianza storica e di guerra, rinunciando a volte perfino alle sue ambizioni artistiche nel nome della verità".