“Manca l’elaborazione del lutto collettivo. Le persone muoiono per le politiche sbagliate e disumane e siamo responsabili anche noi. Ci dobbiamo prendere cura di quelle morti invisibili per ritrovare la nostra umanità”. Parola di Kasia Smutniak, protagonista del nuovo film di Silvio Soldini, in uscita l’11 novembre distribuito da Vision.

S’intitola 3/19 come il numero con cui viene indicato il giovane immigrato morto nell’anonimato. Fatale è stato un incidente causato, sebbene involontariamente, da una rampante avvocatessa (Kasia Smutniak).

“In questo film ci sono tanti temi: dal senso di colpa alla morte e alla vita. Ci sono due destini diversi, una donna occidentale e un ragazzo che viene da un mondo distante anni luce da quello Occidentale, che si scontrano e provocano la storia. È dunque un film di opposti. Anche Milano, città che diventa personaggio come in molti miei film, è vista da due prospettive: quella dall’alto, dei tetti, e quella delle strade, delle mense di accoglienza, dell’obitorio”, dice Silvio Soldini, che racconta una storia (scritta insieme a Doriana Leondeff e Davide Lantieri) con una protagonista “poco empatica e poco umana” lontanissima dai personaggi dei suoi film (uno su tutti: Rosalba di Pane e Tulipani).

Silvio Soldini

Un’avvocatessa delle multinazionali che compirà un viaggio umano fino ad arrivare a una rinascita e che lavora nella Milano dei grandi grattacieli. “Una Milano che è stata poco raccontata al cinema, piena di persone che fanno affari e di soldi che girano”, dice la Smutniak, presente alla conferenza stampa da remoto perché in isolamento preventivo dopo essere entrata in contatto con un positivo.

Molte le dissomiglianze con il suo personaggio: “Ho incontrato diverse avvocatesse che mi hanno aiutata ad entrare nella parte e mi hanno fatto scoprire un nuovo mondo, lontano dal mio. Donne forti che hanno fatto molte rinunce per fare carriera. Io, al contrario, ho rinunciato a poche cose per fare il mio lavoro anche perché per me la famiglia è sempre stata al primo posto”.

Ci sono però alcune cose che la rendono vicina al suo personaggio, in primis l’elaborazione del lutto (il 28 giugno del 2010 il suo compagno Pietro Taricone, padre di sua figlia Sophie, morì tragicamente, proprio davanti ai suoi occhi, in seguito a un incidente di paracadutismo). “Ho portato sulla scena il mio bagaglio emozionale. Questo è un film sul cambiamento e proprio per questo mi ha molto affascinata. Si racconta l’importanza del prendersi cura degli altri ed è anche un film che ha provocato in me dei cambiamenti irreversibili”, confessa l’attrice.

Al centro vi è l’importanza del sapersi mettere in ascolto dell’altro. E la Smutniak è un’attrice che da tempo lo fa (“Undici anni fa ho creato l’associazione Pietro Taricone Onlus e abbiamo costruito una scuola in Nepal. Un gesto piccolo qua, ma che lì ha già cambiato molte vite”). E recentemente sui social ha preso posizione su quello che accade ai migranti al confine tra la Bielorussia e la Polonia.

“Non mi sento una mosca bianca a dire certe cose – dice l’attrice polacca naturalizzata italiana-. Mi sono esposta e ci ho messo la faccia perché sono una cittadina europea. Polacca, ma anche italiana e mi sento a casa ovunque in Europa. Quindi voglio difendere il concetto della casa, che non è legato solo a un luogo preciso. In quel confine sta succedendo una tragedia perché leggi sbagliate bloccano i migranti e li fanno morire”.

E poi sull’aborto, un altro tema che le sta a cuore, dice: “In Polonia è stato messo in discussione con una legge che lo vieta. Questi sono dei segnali di allarme per tutti gli altri paesi perché anche in Italia, paese in cui esiste la legge sull’aborto libero dal 1978, di fatto è difficilmente applicabile o perché ci sono gli obiettori di coscienza o perché le strutture non sono pronte o perché il percorso per le donne è molto tortuoso”.

Nel cast anche Francesco Colella, nel ruolo del direttore di un obitorio di Milano. “Bruno è un uomo migliore di me- dice l’attore-. Per me questo film è stato un’educazione sentimentale per cercare di essere all’altezza di quest’uomo. Rinunciare al lavoro è anche una maniera genuina per vivere la propria vita in linea con il proprio cuore. Questo è un film che produce sentimenti, che fa riflettere sulla vita, sulla morte e sulla perdita”.

Sicuramente la storia fa riflettere molto sulle morti del Mediterraneo come se in qualche modo ci fossero dei morti di serie a e dei morti di serie b. “Ho letto vari libri di Cristina Cattaneo, fondatrice di Labanof (ndr. laboratorio di antropologia e odontologia forense). Abbiamo tratto molto da queste storie sull’identificazione dei migranti morti in mare e dai racconti su queste persone ritrovate e del percorso che bisogna fare per riuscire a trovargli un’identità”, conclude Silvio Soldini.