"Sono un cineasta, racconto storie. E questa storia mi ha profondamente commosso: ho pianto, ho anche sorriso, perché su quell'isola persone che sembravano sconfitte in realtà sono riuscite a vincere, rendendo omaggio alla natura stessa dell'essere umano e alla sua capacità di trasformare in bellezza il dolore". Così Miguel Littin, oltre 40 anni di carriera e tra i più importanti registi dell'America Latina, spiega perché abbia voluto portare sullo schermo Dawson Isla 10, drammatico resoconto della deportazione - all'indomani del colpo di Stato dell'11 settembre 1973 a Santiago - di circa 30 leader e autorità dell'Unidad Popular di Salvador Allende: "In quell'isola remota, ai confini del mondo, sullo stretto di Magellano, oppressi e oppressori hanno dovuto imparare a convivere - racconta ancora il regista - inscritti in una natura duplice ed ambigua, la stessa che ho ritrovato io trent'anni più tardi per i sopralluoghi del film. Bellissima e atroce, come l'inizio della vita, sembra ancora oggi portarsi addosso il peso di quello che è successo". Qualcosa di indimenticabile, anche e soprattutto per i protagonisti della vicenda, come Sergio Bitar (nel film interpreato da Benjamin Vicuña), all'epoca ex ministro di Allende e oggi ministro dei Lavori pubblici della Repubblica cilena: "Vedendo il film ho provato emozioni contrastanti - racconta Bitar - ritrovare quei luoghi e rivivere certe situazioni è stato comunque motivo di enorme orgoglio. Da una parte perché molti giovani cileni che hanno visto il film possono far loro il messaggio che certe cose non si ripetano mai più, dall'altra perché - e la storia lo dimostra - dal nostro dolore è nata una democrazia, un paese migliore: alla fine abbiamo vinto noi, ma per garantire che ci sia unità e pace bisogna scongiurare tanto il rancore, quanto l'oblio".
Salvador Allende e Augusto Pinochet, icone di un unico luogo e di due mondi comunque lontanissimi: "Non ci sono stati testimoni oculari della morte di Allende - spiega il regista, che nel film mostra chiaramente l'uccisione del Presidente socialista durante il golpe - non credo si sia suicidato, ma è la mia verità, e visto che faccio film d'autore propongo la mia visione dei fatti". Per quanto riguarda Pinochet, mai nominato nel film, Littin non ha mezzi termini: "Ho un'idea davvero bassa di quell'uomo, personaggio di infimo livello: per questo ho ritenuto non necessario nominarlo durante il corso del racconto, tutti sanno come sono andate le cose, non serviva ai fini della storia".
Stasera in Concorso al Festival capitolino, Dawson Isla 10 è una coproduzione Cile/Brasile/Venezuela ed è stato proposto dal Cile all'Academy per la categoria Miglior Film Straniero: "Essere qui a Roma è motivo di grande orgoglio e felicità - dice Littin - perché con questa città ho un rapporto straordinario: sono stato grande amico di Gian Maria Volonté, ho vissuto anche a casa sua in Vicolo del Moro, a Trastevere, senza contare che la mia formazione di cineasta nasce con Roma città aperta e tutto il neorealismo italiano".