"Il cinema iraniano è in crescita esponenziale. Ogni anno vengono prodotti una media di 90 film e neanche la censura è più ormai un grande problema. Abbiamo imparato ad eluderla". Il cartellone della 56a Berlinale sembra dar ragione a Mohammad Mehdi Dagdoo, produttore del primo film iraniano mai presentato in concorso nella storia del festival. Al già storico risultato si aggiungono un altro titolo nella sezione Panorama e, soprattutto, il fatto che il secondo iraniano in gara per l'Orso d'Oro sia il maestro del Cerchio Jafar Panahi. In attesa del suo Offside, storia di una ragazza costretta a camuffarsi da uomo per assistere a una partita di calcio, è stata la volta di Zemestan - It's Winter.
"Una vetrina come Berlino è importante per il nostro come per il cinema di qualsiasi altro paese - dice il regista Rafi Pitts -. Essere qui è un grandissimo onore e ci aiuterà ad acquistare credibilità in casa. La cosa più importante, però è che il film venga visto in Iran". Zemestan - It's Winter si basa sull'omonimo libro dell'autore iraniano Safar, per ricostruire una triangolazione di amore e amicizia, che punta il dito contro la piaga della disoccupazione. "Più che un'analisi della nostra società - spiega Pitts - lo considero però una riflessione sui rapporti umani, che parte dalla realtà iraniana, ma riguarda poi quella di tutta l'umanità". La notorietà dell'autore al cui romanzo è ispirato, lega fortemente il film alla cultura locale. "Le tematiche però - dice ancora il regista - sono universali: attraverso i protagonisti si parla di disoccupazione, necessità di emigrare, ricerca di un mondo migliore".
Nonostante le tematiche, il film non ha però subito alcuna censura: "Si tratta di un elemento che ormai abbiamo imparato ad aggirare - spiega il produttore Mehdi Dagdoo -. Ci accompagna da prima della rivoluzione e sappiamo come conviverci". "Anzi - aggiunge Pitts - è stata propriamente integrata fra gli elementi del linguaggio cinematografico. Un ostacolo in più, al pari di tanti altri, con cui fare i conti al momento di girare un film". A riuscirci, stando ai dati snocciolati da Dagdoo, sono sempre di più: una media di 90 titoli all'anno, di cui il 70% finanziati dallo Stato, che nel 2004 sono valsi all'Iran la 14a posizione nella classifica mondiale delle produzioni cinematografiche. Alla base di questo miracolo, una fase di transizione che Dagdoo riassume così: "In questo momento possiamo considerarci fortunati. Non essendo ancora così condizionati dal cinema commerciale dell'Occidente, possiamo paradossalmente permetterci di rischiare molto più di tanti altri paesi".