Suicidi e tsunami, extension e solitudini: lasciate ogni speranza voi ch'entrate. Ma esultate, perché l'emozione corre nell'inquietudine del vivere oggi, e l'arte non fa sconti: se stiamo male, come potremmo stare bene sullo schermo? Un Rapporto Confidenziale firmato Sion Sono, che va in scena al 29° Torino Film Fest.
 Sono Sion e vengo da lontano: Giappone, Aichi, 1961, poesie fuori e dentro il cassetto, e poi l'identità fatta cortometraggio nel 1985: I Am Sono Sion!. Il primo lungo, Bicycle Sigh, il primo premio nel '92 con The Room. Il cult è dietro l'angolo: Suicide Circle, 2002, e basta la prima sequenza. Studenti e scanzonati sulla banchina, passa il treno e piove sangue. (www.youtube.com/watch?v=DwqSeDvD)

Il suo ultimo è Himizu, doppio Mastroianni agli attori a Venezia 68: (più di) qualcuno dice che il Premio della Giuria andato a Terraferma fosse suo. La ricompensa ha la Mole del TFF: “Sono orgoglioso di questa retrospettiva, perché l'Italia è la patria di registi che ammiro: Pasolini, Fellini”. Non ve li ritrovate nel suo cinema? Cercate bene, la ricetta è la stessa: immaginazione al potere, potere al reale.
Ovvero, la realtà del terremoto, la tragedia dello tsunami: “Ho cambiato la sceneggiatura di Himizu: siamo andati a filmare quasi subito in location, ma già iniziava la ricostruzione. Non c'è ironia nel film: attraverso la gente del posto, volevamo registrare la drammaticità della situazione, al naturale. Nella troupe, c'era chi aveva perso casa e chi abitava ancora quel poco rimasto in piedi”.
Non è un cinema per vecchi, eppure i giovani non se la passano bene: “Il terremoto ha davvero segnato una frattura, ma è presto per dire dove condurrà”. Perché oggi “è difficile ridurre i giovani a un pensiero unico: se tutti sono sommersi dall'infinito quotidiano, qualcuno precipita in una disperazione acuta”. E la sua arte (non) aiuta: generazione no future, tre echi punk e anoressia esistenziale.
Sono sempre in fremente attesa di ogni suo nuovo titolo: parola di pressbook, sono i seguaci del nostro. Che è un (in)guaribile romantico: 2008 “L'amore esposto” (Love Exposure), 2011 “Il peccato dell'amore” (Guilty Romance). Se due indizi fanno una prova, che amore è quello di Sono? Un apostrofo, tra horror e grand guignol, mélo e furore, serial thriller e psicanalisi. Paradise Lost? Ebbene, sì.
Ogni volta stupisce, ogni titolo rimpolpa la pletora di fan ed esegeti, ma Sion Sono ci fa o ci è regista di culto? “Non si fanno intenzionalmente film da festival, almeno io non li faccio. Himizu non era inteso per un pubblico più ampio: che un'opera sia “popolare” o meno dipende dalle circostanze”. Duro e puro, nel Giappone oggi: “Un paese illusorio, dove cambiare è difficile. E la malvagità esiste”.
Non la nasconde la sua filmografia, ma nemmeno l'esalta: che siano suicidi o fantasmatiche extension (Exte, 2007), killer a sangue freddo (Cold Fish, 2010) o libero caos (Hazard, 2006), la crudezza del visivo fa rima con l'onestà del vedente. Sono guarda attraverso la società, mette da parte trave e pagliuzze e si fa valente servo di due padroni: serialità e iterazione; dettaglio e entomologia.
Oscurità e indifferenza, luce e crescita: due poli d'attrazione, e una talpa giapponese, himizu mogura. “Nascosta dal sole”, come Sono dal cinema pastorizzato: sulla retina e nelle sinapsi, le sue immagini sono punti di rottura. Fino a coincidere ineluttabilmente con il terremoto: “Dopo l'11 marzo, il mio modo di pensare è enormemente cambiato”. Dopo l'11 marzo, speriamo il suo cinema non cambi (troppo).